Intervista a Chiara Porciatti, da Staggia Senese a Pechino per avverare i suoi sogni

Ho conosciuto Chiara grazie ad amicizie comuni. Classe 1988, staggese trapiantata in Cina, sta per diventare mamma per la prima volta ed è tornata in Italia proprio per dare alla luce il suo bimbo. Ma ormai la sua vita è in Cina, più precisamente a Pechino, capitale e metropoli dove la valdelsana è riuscita ad avverare tutti i suoi sogni: fare il lavoro che le piace e trovare l’amore

 ITALIANI ALL'ESTERO
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Ecco cosa ci siamo dette durante la nostra chiacchierata.

Ciao Chiara! Grazie per la disponibilità. Cosa ti ha spinto ad andare a Pechino la prima volta?

«Sono arrivata in Cina nel 2010 per motivi di studio: l’università dove frequentavo Lingue e Culture dell’Asia Orientale, la Ca’ Foscari di Venezia, permette di frequentare gli ultimi mesi della triennale presso alcune Università convenzionate in Asia ed io scelsi di provare questa esperienza per testare il mio livello di lingua ed avere un assaggio della cultura e del modo di vivere dei cinesi che non fosse quello raccontato sui libri di testo.

Cosa ti ha spinto a restare?

«Ho deciso di restare per motivi di cuore. E’ accaduto per caso: durante un concerto in uno dei tanti locali underground della capitale che amo tuttora frequentare, ho conosciuto un giovane musicista che mi ha rubato il cuore dal primo momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati e che a meno di un anno di distanza sarebbe poi diventato mio marito. Entusiasti del nostro rapporto, mi sono trasferita da lui dopo pochissime settimane di frequentazione, fu allora che abbandonai il progetto di tornare in Italia dopo la laurea».

La Cina è un mondo diverso da quello che conosciamo.. quanto ci hai messo ad abituarti alla nuova vita? Ci sono stati momenti sì e momenti no?

«Confrontarsi con una realtà culturale nuova e spesso a noi incomprensibile è sempre un’ esperienza che genera smarrimento, sconforto e un forte senso di impotenza. Per chi arriva in un Paese così diverso dal nostro come la Cina, lo shock culturale è molto forte, personalmente l’ho vissuto in maniera abbastanza serena grazie alla guida di mio marito che ha saputo sostenermi, soprattutto nella fase di fastidio e ostilità verso il Paese di arrivo generati dalle difficoltà pratiche sperimentate quotidianamente. Adattarsi ad un nuovo ambiente culturale richiede mesi, talvolta anni, per questo è necessario assumere un atteggiamento di apertura e curiosità per poter più facilmente predisporre il proprio animo al cambiamento. Purtroppo ho notato che gli italiani in particolare, forse perché orgogliosi e tendenzialmente un po’ arroganti, spesso tendono a rifiutare e denigrare il nuovo ambiente, idealizzando in maniera eccessiva la propria cultura. Molti di loro non supereranno mai questa fase e nonostante diventino più autonomi negli spostamenti e nella routine quotidiana, non riusciranno mai a inserirsi completamente nella cultura del Paese di arrivo».

Spesso si sentono degli strani aneddoti sull’oriente, sul loro stile di vita, soprattutto gastronomico. Hai qualche curiosità che hai vissuto in prima persona da raccontarci?

«Sicuramente di un certo effetto su noi occidentali sono i classici bagni pubblici, una serie di turche a distanza di un metro l’una dall’altra senza porte e spesso neanche pareti divisorie che le separino. Non è raro per un cinese intrattenersi in una conversazione col “vicino di turca” al bagno pubblico, anche se si tratta di un totale sconosciuto, il che per noi è imbarazzante e inaccettabile, ma che è molto indicativo circa l’assoluta mancanza di vergogna e totale disinvoltura con la quale altre culture vivono qualcosa di naturale come espletare i propri bisogni. Mi ricordo addirittura che una volta, proprio in quella situazione, mio marito fu riconosciuto da un fan che volle a tutti i costi scattarsi una foto con lui! Ed io d’altro canto mi sono spesso vista allungare un rotolo di carta igienica dalla vecchietta di turno che mi guardava cercare invano un pacchetto di fazzolettini in borsa! Spesso nei quartieri popolari in casa non c’è la toilette, per questo i bagni pubblici sono frequentatissimi e in questi luoghi non è assurdo imbattersi in persone in pigiama e ciabatte  proprio come se fossero a casa loro. Poi ci sono le abitudini al ristorante, per esempio per i cinesi è assolutamente normale sputare ossa, lische e tutto ciò che noi lasceremmo da una parte del nostro piatto direttamente sul tavolo, spesso volutamente sprovvisto di tovaglia proprio per permettere al cameriere di raccogliere con una sola passata di straccio bagnato tutti i resti lasciati dal cliente e far subito posto a quello successivo. Non è raro arrivare al ristorante e vedersi assegnare un tavolo ancora pieno di cumuli di crostacei, di cui i pechinesi vanno matti , e bucce di semi di girasole, un'altra leccornia per tutta la popolazione».

Torneresti ad abitare a Staggia?

«Sinceramente non lascerei la Cina per tornare in Italia, almeno non in QUESTA Italia. Da osservatrice esterna, negli ultimi anni ho avvertito in maniera molto forte la rabbia e il senso di sconforto, soprattutto fra i ragazzi, generato dall’alto tasso di disoccupazione e dai problemi riguardanti il governo, incapace di proporre politiche per i più giovani e che li spinge sempre di più a lasciare il Paese per spostarsi verso quei luoghi che offrono loro condizioni che a casa non si trovano. Non mi sento egoista né vigliacca avendo scelto ciò che è meglio per me e per il mio futuro, rinunciando a cercare di migliorare qualcosa nel mio Paese, quando il governo stesso non mi offre le condizioni necessarie per poterlo fare e crea soltanto ostacoli, facendo dell’Italia un luogo sempre meno attrattivo non solo per i nostri laureati, ma anche per potenziali nuovi cervelli dall’estero. L’unica questione che potrebbe convincermi a lasciare la Cina sarebbe il problema dell’inquinamento che in molte città del Paese raggiunge talvolta livelli allarmanti e che adesso minaccia non soltanto la salute mia e di mio marito ma anche del bambino che porto in pancia e che è diventato la nostra priorità in assoluto».

Cosa ti manca della tua terra? Avresti avuto le stesse opportunità di lavoro qua?

«Da buona toscana mi mancano le nostre colline e le belle sagre estive, la possibilità di poter prendere la macchina e staccarsi un po’ dalla città senza dover percorrere chilometri e chilometri. Mi manca la dimensione del paese che se da ragazzina mi andava un poco stretta, adesso che vivo in una grande metropoli (talvolta anonima e dispersiva) mi appare come un nido tranquillo e sicuro, dove il tempo sembra essersi fermato e niente di terribile può accadere. Tuttavia per adesso preferiamo che l’Italia resti semplicemente la meta delle vacanze mie e di mio marito, per quanto riguarda il lavoro sappiamo entrambi che in questo Paese non troveremmo le stesse opportunità e condizioni favorevoli per poterci realizzare e vivere in maniera indipendente senza doverci privare di niente».

Veronica Di Leonardo

Chiunque voglia contribuire e raccontare la sua storia può scrivere a redazione@valdelsa.net.

Pubblicato il 7 marzo 2017

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