''Art Nouveau, Kriek and clouds'': la storia di Marta, tirocinante a Bruxelles per tre mesi

''Più si vive, più si impara'' recita un - non troppo - noto proverbio italiano. Forse è il caso di aggiungere anche che ''più si viaggia, più si impara''. E se poi il motivo del viaggio è un'esperienza di studio o professionale, tanto meglio. Sarà per questo che, ormai ben tre anni fa, il destino ha voluto che optassi per un tirocinio a Bruxelles

 
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"Più si vive, più si impara" recita un - non troppo - noto proverbio italiano. Forse è il caso di aggiungere anche che "più si viaggia, più si impara". E se poi il motivo del viaggio è un'esperienza di studio o professionale, tanto meglio. Purtroppo però non posso personalmente considerarmi fra quei fortunati (e invidiatissimi!) viaggiatori che, non ancora trentenni, hanno già avuto la possibilità di visitare più di un continente. Sarà per questo che, ormai ben tre anni fa, quando ho dovuto scegliere la destinazione del mio tirocinio formativo all'estero (progetto Erasmus Placement), il destino ha voluto che optassi per Bruxelles. Una nazione, il Belgio, così "piccola e noiosa" mi veniva ripetuto da tantissimi amici e familiari, increduli che non avessi invece scelto destinazioni ben più note come Londra, Parigi o Berlino. Anche se i motivi iniziali erano più personali che non di interesse culturale (un ex fidanzato che lavorava a Bruxelles da più di un anno), ho avuto il piacere di smentire ben presto le opinioni scettiche dei miei amici e parenti.

A differenza delle voci sulla presunta limitatezza - geografica e non - del luogo, ho al contrario scoperto di persona di aver scelto, senza saperlo, il vero cuore pulsante del continente europeo. E questo non solo per la grandissima varietà di origine delle persone che lo abitano per motivi professionali e non grazie alla presenza della Commissione e del Parlamento Europeo (persone che io stessa ho potuto conoscere e scoprire nella mia esperienza quotidiana), ma anche e soprattutto per le diversità culturali presenti al suo interno: come viaggiare in 1.000 paesi diversi grazie alle 1.000 diverse origini delle persone che incontri.

Il mio viaggio di "smentite" è partito a inizio luglio e si è concluso a fine settembre: tre mesi passati per buona parte del tempo con un coinquilino francese, uno belga-spagnolo e una inglese e con tutto il loro gruppo di amici provenienti da tantissimi paesi diversi, e per la maggior parte spesi in un piccolo studio di grafica e web design gestito da una vera "bruxelloise", Dorothée. Anche qui le smentite non hanno tardato a presentarsi puntuali come un orologio svizzero. A differenza di quanto sentito dire sul tipico abitante di Bruxelles (riservato, con la puzza sotto al naso e poco "socievole"), il mio "capo" era l'opposto contrario: sorridente, non troppo loquace ma interessata a chi lavorava per lei e, senza dubbio, la persona più disponibile del mondo, che non ha mai esitato ad offrirmi il suo aiuto e la sua opinione in qualsiasi tipo di situazione, professionale e non.

"E con ciò?" vi chiederete. Con ciò, posso affermare quasi con fierezza che l'esperienza del tirocinio mi ha senz'altro migliorata nelle mie competenze tecniche e relazionali inerenti alla mia professione, nel sapermi "arrangiare" da sola nel quotidiano, mi ha aiutata nel miglioramento della lingua inglese parlata e scritta, nel relazionarmi con persone totalmente diverse da me per cultura e abitudini ma, prima di tutto, mi ha insegnato a non prestare ascolto ai pregiudizi e al "per sentito dire", armi pericolose che possono altro che alimentare le distanze, le incomprensioni e le insicurezze.
Per questo, a chiunque mi chiede un responso sulla mia esperienza, non posso far altro che rispondere: 10+. Di certo i momenti di difficoltà non si sono fatti mancare (anzi!), ma posso arrivare a dire di poter considerare l'esperienza una vittoria grazie alle emozioni provate soprattutto la penultima sera del mio soggiorno, al tramonto nella Grand Place: un misto di malinconia e tristezza per quello che stavo lasciando ("Art Nouveau, Kriek and clouds", così riassunto in un celebrativo post su Facebook) e per le tante cose - belle e brutte - che in quei pochi mesi mi ero conquistata e avevo iniziato a fare mie.

Oggi di quell'esperienza resta un bellissimo ricordo, tante memorie delle cose che ho appreso e conosciuto e dei periodici messaggi scambiati con il mio "capo" - Dorothée - in occasioni quali Natale e compleanni, e sempre la stessa, allusiva, domanda seguita da un' affermazione: "Cosa stai facendo adesso? Spero di rivederti molto presto a Bruxelles". Forse a causa dell'ultimo scambio intercorso tra noi prima del definitivo congedo, nel quale mi veniva esplicitamente chiesto quali erano i miei piani futuri e se poteva esserci interesse da parte mia a continuare la collaborazione con lo studio, non posso ancora trattenere un po' di rimpianto ogni volta che Dorothée mi ripropone la stessa, allusiva domanda. All'epoca i piani non comprendevano l'opzione di poter restare in Belgio, in quanto mi trovavo al primo anno appena concluso di specialistica ed era mia ferma intenzione quella di portare a termine il biennio specialistico con tanto di tesi. Oggi, col senno di poi e con una sorella "emigrata" in Francia per un dottorato di ricerca (molto più che felice e contenta), mi ritrovo a chiedermi come sarebbe cambiata la mia vita se avessi preso al volo quell'occasione e accettato l'offerta, più spesso riproposta a distanza via Facebook. Forse mai mi sarà dato sapere come sarebbero andate le cose, per il momento mi piace però pensare che nella mia vita, grazie a quell'esperienza, può sempre esserci una porta semi-aperta per me e delle persone pronte ad accogliermi come hanno sempre fatto, fin da quel giorno nuvoloso (come tutti gli altri) dei primi di luglio 2011.

Marta Pacini

Didascalia alla foto: distanza in chilometri tra Bruges e Bruxelles, scolpiti nella Belfort Van Brugge (Torre Civica di Bruges)

Chiunque voglia contribuire e raccontare la sua storia può scrivere a redazione@valdelsa.net.

Pubblicato il 30 giugno 2014

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