40 anni dalla tragedia di Alfredino, il bimbo di 6 anni che morì in fondo a un pozzo

Vermicino, la triste vicenda di Alfredino Rampi scosse gli animi di tutti gli italiani, incollati alla diretta tv

 ALFREDINO
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«Stiamo per mangiare, chiama Alfredino, ma lui non c’è», è questo uno dei passaggi della nuova serie prodotta da Sky che uscirà il 21 e 28 giugno.

Per un italiano di Alfredino ne esiste uno. Perché il nome Alfredino evoca ed apre stanze segrete che sono in grado di descrivere quella che è l’identità, il carattere e l’atteggiamento italiano.

È la storia del piccolo Alfredo Rampi, caduto in un pozzo artesiano nel giugno del 1981. Una ferita nell’anima dell’Italia che ancora oggi fa soffrire. Forse, i più giovani, le nuove generazioni, non sono a conoscenza di quanto accaduto ad Alfredino, ma ogni anno quando ricorre l’anniversario in tutte le tavole italiane, passando il ricordo in televisione, qualche nonno, qualche mamma o babbo parlerà della storia come se fosse un racconto di famiglia. Perché questa cattiva novella nera è stata prima di tutto una storia italiana, un dolore collettivo, un lutto di un intero Paese, ma anche una brutta pagina di come agisce a volte lo Stato, per la sua disorganizzazione.

Viene chiamato anche l'incidente di Vermicino. Alfredino cadde il 10 giugno, morì il 13 giugno a 6 anni. Caduto in un pozzo artesiano in via Sant'Ireneo, in località Selvotta, una piccola frazione di campagna vicino a Frascati, situata lungo la via di Vermicino, che collega Roma sud a Frascati nord. Dopo quasi tre giorni di inutili tentativi di salvataggio, il bambino morì dentro il pozzo ad una profondità di circa 60 metri. La vicenda ebbe grande risalto sulla stampa e nell'opinione pubblica italiana, con la diretta televisiva della Rai durante le ultime 18 ore del caso.

Sarà impossibile anche a distanza di 40 anni poter elaborare e superare la morte di Alfredo, il pensiero dei suoi genitori avvolti dal popolo italiano curioso e spietato nel sapere se il recupero andava buon fine, ha causato cicatrici su tutto il corpo dell’Italia.

I cronisti che riprendevano il dolore di una famiglia facendolo diventare il dolore di un popolo hanno portato questa storia fino ad oggi, con lesioni che non si cicatrizzeranno mai.

Chi si ricorda di quei momenti li descrive come una vicenda della quale tutti si interessavano avendo la consapevolezza che sarebbe finita bene.

Non è andata affatto bene e questo fatto porta i suoi strascichi di uno Stato che in questo Truman Show su Alfredo ha dimostrato di essere impacciato, approssimativo e confusionario. Una televisione, anche pubblica, che si è sperticata nel far passare in diretta ogni secondo, riprendere ogni lacrima, ogni preghiera per aumentare le tensioni narrative.

Di fatto da questo evento nacque la volontà di costituire la Protezione civile come la conosciamo oggi.

Confesso che per questo articolo non sto facendo il buon mestiere del cronista. Perché anche io mi sento legato a questa storia e sento la difficoltà dei miei diti che sbattono sulla tastiera. Il sottofondo è la canzone Alfredo dei Baustelle, che racconta di come l’Italia mandò in diretta il dramma e la morte di un suo figlio e di quanto personaggi, maestranti e politicanti in quei giorni volevano fare una sfilata per stringere la madre ed il padre che in quel momento avevano solo la necessità di risposte chiare e de finitive dallo Stato, che invece pensò solo a farne uno melodramma all’italiana pensando che il protagonista fosse Alfredo ed invece era la sua inadeguatezza.

Lodovico Andreucci

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Pubblicato il 10 giugno 2021

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