«A sedici anni, nel 2011, ho deciso di partire per l'Honduras». Il racconto di Tiziano
Il mio mondo si chiamava Casole d'Elsa, un paese di poche migliaia di abitanti in cui le tradizioni e la cultura sono trasmesse di generazione in generazione. Un posto in cui si vive bene, a contatto con la natura, in cui la quotidianità della vita di paese ti coinvolge e ti fa sentire di non aver bisogno di nient'altro. Almeno finché non conosci qualcos'altro
A 16 anni ho deciso di partire.
La voglia, in realtà, l'avevo già da prima, e quando ho sentito parlare di un programma che mi avrebbe permesso di andare a vivere per un anno in un paese in qualunque parte del mondo non ho voluto perdere l'occasione.
Era un periodo della vita in cui stavo iniziando a sviluppare una curiosità per cosa ci fosse al di là del mondo in cui avevo vissuto fino a quel momento. Il mio mondo si chiamava Casole d'Elsa, un paese di poche migliaia di abitanti in cui le tradizioni e la cultura sono trasmesse di generazione in generazione. Un posto in cui si vive bene, a contatto con la natura, in cui la quotidianità della vita di paese ti coinvolge e ti fa sentire di non aver bisogno di nient'altro. Almeno finché non conosci qualcos'altro.
Dopo le scuole medie ho iniziato le superiori a Poggibonsi, che per quanto sia comunque un paese non di grandi dimensioni, mi ha fatto accorgere di come il mondo fosse più vario di come l'avessi conosciuto fino a quel momento. Ho iniziato a sviluppare interessi e passioni e la curiosità di cui parlavo all'inizio. Quando sono venuto a conoscenza del programma Intercultura avevo già la convinzione di voler partire e sapevo già in quale parte del mondo sarei voluto andare. Sarà forse stato perché la mia band preferita era spagnola o per altri fattori che non saprei ricostruire, ma l'America Latina aveva nel mio immaginario qualcosa che mi attirava più di ogni altro posto. Nella richiesta di accettazione al programma inserii quasi tutti paesi latinoamericani e come primo misi l'Honduras. Fu una scelta d’istinto, ispirata dalla pagina di descrizione del catalogo che mi era stato fornito in cui, tra l'altro, veniva indicato l'Honduras come l'unico paese del continente (tra quelli disponibili) che fornisse un'istruzione bilingue spagnolo-inglese.
Dopo non poche difficoltà tecniche, riuscii a ottenere la conferma a partire, e mi venne assegnata la capitale del paese, Tegucigalpa, come città in cui avrei trascorso l'anno. Passare da Casole d'Elsa a una metropoli del Centro America non è esattamente un cambiamento da poco.
Durante l'anno ho vissuto con una famiglia honduregna e frequentato una scuola privata in cui mi sono diplomato. Tra le molte differenze incontrate con il nuovo stile di vita che ho dovuto adottare non tutte sono state positive come mi sarei aspettato nei momenti di eccitazione pre-partenza. Come molte altre grandi città dell'America Latina, Tegucigalpa non è un posto in cui poter stare sempre tranquilli, soprattutto per via della delinquenza che spesso rende rischioso anche camminare per strada. Tuttavia, il dover abbandonare le consuetudini che avevo in Italia ha fatto sì che io sviluppassi una capacità ad abituarmi alle diverse situazioni, utile per tutto il corso dell'esperienza e dopo di essa. Dovendo costruire da capo quella che sarebbe stata la mia nuova quotidianità, ho iniziato a adattarmi al modo di vivere degli honduregni e a vedere le cose dal loro punto di vista.
D'altronde, nella mia famiglia ero trattato come un figlio, al pari degli altri fratelli, e a scuola mi sentivo parte della classe tanto quanto i miei compagni.
Alla cerimonia di fine anno scolastico, mia mamma honduregna mi ha accompagnato alla consegna del diploma. È stato un momento in cui mi sono veramente sentito parte di quel contesto, condividendo con gli altri studenti le emozioni della fine di quel percorso, per loro iniziato insieme fin dai 4-5 anni (non esistono separazioni tra i diversi gradi di istruzione, ma un unico istituto che va dal primo grado al dodicesimo), ma non per questo non toccanti anche per me.
In quel momento ho sentito che tutte le difficoltà affrontate durante l'anno erano state un prezzo che avrei pagato altre cento volte in cambio dell'arricchimento personale che quell'esperienza mi aveva dato.
Ho capito che confrontarsi con una realtà molto diversa dalla propria, per quanto all'inizio possa spaventare, è un’esperienza da cui, in qualunque caso, è possibile trarre dei grandi vantaggi.
Questo non vuol dire che ciò che è diverso debba essere necessariamente migliore di ciò che si è lasciato, ma che allontanandosi dal proprio porto sicuro si è in grado di vedere le cose da nuove prospettive e, in molti casi, apprezzare maggiormente quello a cui prima non si dava importanza.
Nel complesso, la mia esperienza in Honduras è stato qualcosa che porterò sempre con me e a cui sarò sempre grato per ciò che mi ha trasmesso. Per tutti questi motivi, credo che il trascorrere un anno all’estero, a prescindere dal paese scelto, sia una grande occasione che tutti i ragazzi che ne hanno la possibilità dovrebbero cogliere.
Tiziano Labruna
Chiunque voglia contribuire e raccontare la sua storia può scrivere a redazione@valdelsa.net
Pubblicato il 16 luglio 2019