Diba 70, i segreti per preparare un espresso perfetto e risvegliare le capacità sensoriali

Fondamentali i parametri corretti della preparazione e le analisi visiva, olfattiva, gustativa e tattile

 DIBA 70
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Il primo brevetto di una macchina da espresso risale al 1884 e porta il nome di Angelo Moriondo, un industriale di Torino che si limitò alla costruzione artigianale di pochi prototipi che utilizzò esclusivamente nei suoi esercizi. I più attribuiscono l'invenzione a Luigi Bezzera, che brevettò la sua macchina nel 1902 inspirandosi a Moriondo e vendendo poi il brevetto all’azienda La Pavoni che ne avviò la produzione a livello industriale.

La macchina di Bezzera era formata semplicemente da un grosso cilindro verticale con all’interno una caldaia che erogava acqua calda grazie a un fornello a gas. Sul finire della Seconda guerra mondiale Angelo Gaggia realizzò una macchina con un sistema a leve che sarebbe poi stata sostituita nel 1961 dalla Faema con il modello E61.

L’espresso è una tipologia di bevanda servita in tempi molto rapidi per un consumo immediato. Quando si raffredda svaniscono tanto la sua corposità quanto la sua complessità aromatica. L’acqua calda sotto pressione riesce a estrarre dal panetto di caffè contenuto nel filtro sia i solidi solubili sia i composti idro e liposolubili. Il risultato è una bevanda bifasica con una parte di liquido scuro dove si trovano disciolti zuccheri, acidi, sali, caffeina e altre sostanze, con una schiuma sovrastante detta crema composta di micro bollicine di gas sulla cui superficie sono presenti particelle solide e olii emulsionanti. La schiuma è un vero e proprio cappello che trattiene più a lungo gli aromi della bevanda.

Esistono dei parametri ben precisi per definire una corretta preparazione dell’espresso, una bevanda che ha solo 2 Kcal e un potenziale di circa 1500 composti chimici:

una dose di caffè macinato di circa 8 grammi

una temperatura di 92° (+/-4°C)

una pressione dell’acqua di 9 atmosfere (+/- 1 bar)

un tempo di percolazione di 25/30 secondi

dose in tazza di 16 grammi

La quantità della schiuma rispetto al volume del liquido dev’essere almeno del 12%. Le particelle solide contenute nel caffè, che normalmente si attestano tra i 20 e i 60 mg/ml, possono aumentare con una tostatura più scura e una temperatura più elevata dell’acqua.

Nonostante vada degradandosi durante il processo di tostatura, l’acido clorogenico è il principale nel caffè e contribuisce a rendere amara la bevanda. Oltre ad esso sono presenti anche l’acido citrico, malico, acetico, formico e lattico, che determinano il gusto acido. Durante la fase di preparazione dell’espresso viene estratto circa un 75-85% della caffeina contenuta nel caffè che consente di avere un contenuto in tazza di 60 mg per l’Arabica e 130 mg per la Robusta.

Per tutti coloro che non sono dei professionisti, bere un caffè dovrebbe essere un momento di piacere in cui poter valutare quella tazza e non solo una semplice abitudine, un rituale, una mera necessità di caffeina. Per arrivare a questo dovremmo recuperare le nostre capacità sensoriali congenite in modo da valutare consapevolmente se ciò che consumiamo e degustiamo sia effettivamente buono o cattivo.

Il primo elemento della valutazione sarà prettamente visivo. Quello che maggiormente ci interessa in questa fase è la descrizione della crema nelle sue caratteristiche di colore, tessitura, presenza di striature o tigrature, consistenza e persistenza nel tempo. Il colore può andare da un nocciola chiaro o paglierino di un caffè vecchio o estratto male, al nocciola con striature rossicce, fino a un marrone o marrone scuro di una robusta tostata scura. La tessitura della crema è invece la descrizione della finezza delle microbolle. La consistenza non è semplicemente data dallo spessore della crema ma anche dalla sua capacità di rimanere compatta una volta spostata dal cucchiaino. La crema dovrà essere elastica, ossia dovrà ricomporsi sopra la bevanda ed essere persistente per 2-3 minuti.

Dopo la prima analisi visiva passeremo a quella olfattiva avvicinando la nostra tazza al naso. Dovremmo cercare di descrivere l’intensità dell’aroma e la sua qualità limitandoci a indicare se l’aroma sentito sia gradevole oppure sgradevole. Il passo successivo sarà quello di portare il prodotto al palato con un primo sorso. Con quest’operazione proveremo a descrivere l’intensità gustativa in termini di acidità, dolcezza e amarezza, nonché a valutare quella tattile in termini sempre d’intensità e qualità del corpo. La dolcezza è un gusto sempre gradito anche nel caffè in quanto ci ricorda l’acidità presente in un frutto maturo. L’amaro in un caffè di alta qualità sarà sempre molto contenuto.

Anche il corpo potrà avere connotazioni positive o negative. Un corpo positivo sarà da noi descritto come setoso, morbido, vellutato, mentre uno negativo sarà quasi sicuramente astringente, ruvido, secco. Infine, una volta deglutita la bevanda, ne descriveremo le caratteristiche retro-gustative e gli aromi retronasali. Il retrogusto dovrà persistere piacevolmente al palato per un periodo piuttosto lungo.

Di Leonardo Maggiori, direttore consulenza e formazione HoReCa Diba 70

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Pubblicato il 27 settembre 2022

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