Fino alla luce. Fino alla vittoria

Ci ricorderemo per sempre di te, Covid-19

 MATTIA GALIGANI
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Cercheremo in ogni modo di rimuovere dalla nostra mente il tuo nome, gli effetti che ci hai provocato e le privazioni alle quali ci hai costretto. Non ci riusciremo. I nostri figli e nipoti ti studieranno a scuola, sui libri di storia. Noi invece, ti abbiamo già studiato ampiamente: in televisione, sui siti di informazione, sui quotidiani, sui social, si parla solo di te, sei diventato il centro nevralgico di ogni conversazione in giro per il mondo. Parliamo di te quando diamo il buongiorno ai vicini. Parliamo di te quando al supermercato ci intratteniamo per pochi secondi (rigorosamente a debita distanza) con un amico. Parliamo di te quando commentiamo un post su Instagram o su Facebook. Parliamo tutti di te. Ci poniamo tutti la stessa domanda: quando torneremo alla normalità? La risposta non la conosce nessuno.

Ci ricorderemo per sempre il modo rocambolesco con il quale sei arrivato in mezzo a noi: dal nulla, proprio come tutte le altre componenti del quadro più bello mai realizzato, il mondo. Sembrava quasi che fossi stato inviato da qualcuno di superiore per mettere a posto i troppi aspetti negativi che stanno portando il nostro Pianeta ad una morte lenta e dolorosa. Hai dapprima seminato il panico in Cina, a Wuhan, città di circa 11 milioni di abitanti rimasta isolata dal resto del mondo per più di due mesi. La sfrenata vivacità di una metropoli si era ben presto trasformata in un arido e incontaminato deserto urbano avvolto in un silenzio assordante. Due mesi di solitudine, paura e tristezza. Ma non ti sei fermato lì. Volevi espanderti, raggiungerci, farci cadere nella tua infida trappola. E così hai fatto. Hai sfruttato abilmente un’imperdonabile catastrofica disattenzione nella nostra retroguardia per penetrare anche in Italia. Ci hai colto impreparati, e hai colpito. Hai messo sotto scacco tutto il nostro Paese scagliandoti maggiormente sui nostri compatrioti lombardi, veneti, piemontesi ed emiliani. Successivamente hai attaccato l’Europa intera, mettendo in ginocchio diversi Stati del Vecchio Continente. E perfidamente non eri ancora soddisfatto. Hai attraversato l’Oceano Atlantico proprio come nel passato avevano fatto i grandi esploratori. Hai raggiunto le Americhe, le lontane Americhe. Sei diventato pandemia. Non hai risparmiato i territori più in difficoltà dal punto di vista economico, tanto che nella capitale dell’Ecuador le famiglie erano dolorosamente costrette a lasciare le salme dei propri cari sulla strada. Una scena surreale. Sei entrato negli Stati Uniti, nella terra dei film, dei jeans, della musica e del football. Ti sei scatenato con una crudeltà spaventosa. Il governatore dello Stato di New York, dove hai mietuto più vittime, ti ha persino descritto “peggiore dell’11 settembre”, la strage che ha cambiato per sempre le nostre vite. Pensavamo che non potesse esserci niente di più catastrofico. Evidentemente, ci sbagliavamo.

Ci ricorderemo per sempre la guerra che ci hai costretto a combattere strenuamente. Una guerra inedita, inaspettata, contro un avversario apparentemente invisibile. Se mai ce lo fossimo immaginati, un nuovo conflitto di portata mondiale era sicuramente ben diverso da quello che stiamo inesorabilmente continuando a combattere. Pensavamo di dover assistere ad una lotta tra due immensi plotoni invincibili, dotati delle migliori artiglierie all’avanguardia capaci di radere al suolo intere regioni con un solo ordigno. Invece no. Il nostro avversario era diverso. Sfruttava le sue dimensioni microscopiche, basti pensare che in media un virus è mille volte più piccolo di un batterio, per infilarsi anche nei pertugi più impervi. Entrava nel nostro sistema respiratorio nascondendosi nelle goccioline che produciamo quando tossiamo. Un metodo estremamente subdolo. Meschino, ma intelligente. Una piccola scatoletta di proteine e materiale genetico. Nient’altro. Basico. Quasi banale. Ma potente, estremamente potente.

Ci ricorderemo per sempre dell’incredibile periodo che ci hai costretto a trascorrere rinchiusi nelle nostre abitazioni, misura drastica ma necessaria. I giorni di quarantena erano apparentemente tutti identici, troppo monotoni. Inizialmente lo sconforto si era impadronito di tutti noi. Pensavamo che questo periodo oscuro sarebbe durato poco e che presto saremmo potuti tornare alla normalità. Man mano che passavano i giorni però le cifre si facevano sempre più critiche, il numero dei positivi aumentava a dismisura, i decessi registrati erano sempre di più, il totale dei pazienti ricoverati nelle strutture ospedaliere avrebbe allarmato anche gli Stati con il quintuplo della nostra superficie. 

Ti divertivi ad ingannarci. Riuscivamo a vedere la luce in fondo a questo tunnel profondo e buio nel quale ci avevi intrappolato. Sentivamo la speranza nel nostro corpo, la vittoria sembrava vicina. Riuscivamo ad immaginarci i falò sulla spiaggia al tramonto, gli amori, le amicizie, le serate in discoteca. Iniziavamo a correre spensierati verso la luce, verso la libertà. Panico. Era solo un tuo inganno estremamente malvagio. Ti divertivi a prenderci gioco di noi, ci facevi assaporare la vittoria per poi risputarci nelle profondità più nascoste del tunnel. Panico. Cominciavamo a correre senza sosta verso questa luce che ormai si faceva sempre più flebile. La nostra espressione da sorridente era diventata terribilmente preoccupata, non volevamo credere che tutto questo potesse svanire in un istante. Restava solo un piccolo barlume in lontananza. Continuavamo disperatamente a correre anche se stremati, il cuore ci batteva a mille, il respiro si faceva sempre più affannato, urlavamo in preda alla rabbia cercando di trovare la forza per raggiungere l’agognata uscita. Ma niente. La luce non si era avvicinata di un millimetro. Lo sconforto era tornato ad impadronirsi di noi, ci faceva piangere, strillare, picchiare la testa contro il muro. Eravamo consapevoli di non poter andare avanti così, dovevamo recuperare la lucidità, anche se non era assolutamente facile. L’oscurità era entrata persino nella nostra mente, le soluzioni che ci balenavano in testa potevano solo essere scartate. Camminavamo lentamente, a passi corti e spenti, immergendo leggermente i piedi in un sottile strato bagnato.

Ci ricorderemo per sempre gli sguardi al cielo lanciati dalle nostre finestre nel momento in cui il pomeriggio si stava trasformando in sera, nel momento in cui una brezza tagliente ti punge dritto in faccia. Il silenzio si impadroniva dell’atmosfera, lo splendido dipinto regalatoci dal tramonto e la luce che filtrava attraverso i rami degli alberi, risplendevano nell’imbrunire come un frammento di normalità in questa situazione surreale. Un vero e proprio antipasto di estate. Ma proprio mentre ci sentivamo rilassati, anche se solo per un breve istante, venivamo riportati negli abissi del tunnel dal capo del Dipartimento di Protezione Civile Angelo Borrelli, il quale stava leggendo il bollettino quotidiano relativo ai numeri del Covid-19. L’ennesima tragedia. La luce continuava ad essere troppo lontana, i nostri passi troppo deboli. Le buone notizie erano ancora un miraggio. Eravamo stanchi di sentire queste atroci verità, ma consapevoli di volerne uscire. Tornavamo alle nostre finestre. Nello stesso momenti alcuni vicini erano usciti nel loro balcone. Impugnavano fieramente una bandiera italiana. Silenzio. Partiva la musica. Si cominciava a cantare a squarciagola il nostro canto, quello che ci riempie di orgoglio sin dalle prime note, un alternarsi di suoni e pause da brividi. Poi tutti in coro: “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta. Dell’elmo di Scipio, s’è cinta la testa”.

Le lacrime gonfiavano i nostri occhi. Eravamo rimasti commossi dall’incredibile forza di volontà espressa dal popolo. Non riuscivamo a non pensare quanto bella sia la vita e quanto siano belle le emozioni che tutti i giorni ci regala, quanto sia bello sorridere ed esultare. Non riuscivamo proprio a smettere di piangere commossi. Ci passavano per la testa i baci passionali, le coccole, gli abbracci. Ripensavamo all’inno, alla forza di tutti. La paura si era trasformata in energia. La nostra falcata si faceva sempre più lunga e convinta, i nostri occhi erano sbarrati, il nostro viso era diventato famelico. I ricordi che precedentemente ci avevano dato solo tristezza, in quel momento ci stavano dando la forza di continuare a camminare imponentemente. Andavamo avanti. Tutti insieme.

Ci ricorderemo per sempre il modo con cui ti abbiamo indebolito. Ci siamo appellati ad un sentimento che ci rende orgogliosi, capaci di risollevarci anche nelle situazioni più buie, quasi invincibili: l’amore per la nostra Nazione. Sì, proprio quella Nazione che critichiamo continuamente, sottolineandone tutti gli aspetti più controversi: debito pubblico, corruzione, discrepanza salariale, scelte governative discutibili. La infamiamo spesso la nostra cara Italia. “Queste cose solo in Italia possono succedere”. Ed è vero, non siamo un Paese come gli altri, amiamo attirare l’attenzione su di noi, amiamo differenziarci dagli altri, purtroppo talvolta con aspetti negativi. Ce ne sono però altri che aumentano a dismisura le nostre emozioni, facendoci raggiungere picchi di commozione impensabili. Il tricolore che sventola leggiadro, mosso dai leggeri fili di vento di metà primavera. Gli applausi struggenti rivolti ai nostri eroi in camice e mascherina, quelli che con il loro lavoro costituiscono la forza principale del nostro esercito in questa folle guerra. 

Gli striscioni appesi ai balconi, i disegni dei bambini. Questo è il modo con il quale ci piace distinguerci. Uniti nelle difficoltà sorprendendo il nostro avversario con la nostra strenua volontà di non lasciarlo trionfare. Vogliosi di dimostrare l’attaccamento nei confronti del nostro Paese. Noi siamo l’Italia. Siamo capaci di criticarla, di insultarla, di discriminarla, ma non riusciamo a non amarla.

Ci ricorderemo per sempre gli incredibili volti di medici e infermieri in prima linea, segnati profondamente da lunghe ore di estenuante lavoro per salvare la vita degli altri, costretti in alcuni casi ad indossare delle mascherine di fortuna create solo con un panno fibroso e due lacci alle estremità. Siete noi il nostro orgoglio, l’orgoglio di una nazione intera, proprio quello che ci spingeva ad appendere il tricolore ai nostri balconi, proprio quello che ci faceva commuovere, proprio quello che ci faceva sentire un fuoco dentro di noi, proprio quello che ci faceva correre verso la luce e che ha allentato la morsa del virus. Siete l’orgoglio dell’Italia, una nazione che in diversi campi non è nata per perdere.

Dopo quasi due mesi in cui il concetto di unione è stato inesorabilmente stravolto, finalmente adesso riusciamo a vedere bene la luce. È nitida, splendente di fronte a noi. Riesce persino a rendere leggermente più bello il tunnel. Quel tunnel che abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene. Un timido sorriso sereno permea i nostri volti. La nostra mente ci ripropone immagini della magica libertà della vita, possiamo sentire ad un passo le magnifiche sensazioni che ci eravamo dimenticati negli ultimi mesi. Ci fermiamo per un istante. Contempliamo in silenzio la luce in fondo al tunnel, perché si sa, è con il silenzio che possiamo sentire urlare le emozioni. La scalata è terminata. La nostra cavalcata trionfante verso la splendida luce del giorno può avere inizio. Un altro inganno. Camminiamo, ma la luce non accenna ad avvicinarsi. Resta lì, immobile ad un passo da noi, ma non si è mossa di un millimetro. Interdetti cominciamo a correre all’impazzata. Non cambia niente. La luce è sempre vicina, ma non abbastanza. Ci eravamo immaginati che il 4 maggio sarebbe stata una data storica, il momento in cui seppur col volto nascosto dietro una mascherina, la normalità sarebbe tornata a fare capolino. Solitamente cerchiamo di allontanarla il più possibile la normalità, vogliamo essere ricordati, compiere azioni originali e fuori dal comune. Eppure adesso costituisce il primo desiderio per ognuno di noi. Lo sconforto si impadronisce ancora di noi. Il solo pensiero di dover restare forzatamente all’interno di questo tunnel ci abbatte. Ancora una volta, Covid-19. Ci lasci assaporare la vittoria, ci fai sentire, toccare, respirare la luce. Ma poi ci colpisci con un fendente dritto al cuore rispedendoci indietro. Ed è proprio qui che dobbiamo dimostrarti la nostra forza, lasciarti spiazzato. Non abbiamo mollato quando i bollettini erano ancora più tragici di quanto non lo siano adesso. Non abbiamo mai mollato quando la paura si impadroniva delle nostre menti. Non abbiamo mai mollato. Non dobbiamo farlo adesso, proprio ora che la luce è così vicina. Vogliamo raggiungerla, abbracciarla. Ci riusciremo. Tutti insieme. Uniti. Fino alla fine. Fino alla luce. Fino alla vittoria.

Mattia Galigani

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Pubblicato il 6 maggio 2020

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