Il Kurdistan e la difficile situazione in Turchia. L'intervista al curdo - poggibonsese Bajram dopo il referendum

Per comprendere più da vicino la questione curda e quello che questa gente sta vivendo in questi anni in Turchia e soprattutto ora, dopo il referendum, abbiamo intervistato Bajram, un giovane di origine curda che vive da poco a Poggibonsi e lavora in un negozio di kebab vicino a Piazza Nagy

 BAJRAM
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Per comprendere più da vicino la questione curda e quello che questa gente sta vivendo in questi anni in Turchia e soprattutto ora, dopo il referendum, abbiamo intervistato Bajram, un giovane di origine curda che vive da poco a Poggibonsi e lavora in un negozio di kebab vicino a Piazza Nagy.

Buonasera Bajram, da che parte della Turchia vieni e dove sei nato? Come mai hai deciso di venire in Italia, in val d'Elsa?

«Buonasera, io vengo dalla parte della Turchia sud - orientale, vicino al confine con la Siria e sono nato in un piccolo paese vicino a Maras. Io sono curdo e nella zona dove vivevo c'è una presenza piuttosto rilevante di curdi, anche se non ai livelli dell'area di Diyarbakır e dintorni, che è essenzialmente curda. Io ho deciso di venire qua perché non mi sentivo abbastanza libero dove vivevo. Ho studiato per 15 anni e ho fatto il militare e proprio questo mi ha aperto veramente gli occhi in maniera diretta su quella che è la reale sottomissione e violenza da parte dell'esercito turco sui curdi. Quindi, non volendo più fare quella vita e sentendomi obbligato a fare e sottostare a cose che non volevo, ho scelto di andare via».

Potresti descriverci come hai vissuto in Turchia i rapporti tra curdi e turchi e come era la situazione lì?

«Personalmente in Turchia, non ho avuto grandi problemi nei rapporti con i turchi, almeno per quanto riguarda la popolazione; ma per quanto riguarda il sistema statale, il governo e l'esercito, i problemi sono grandi e i rapporti veramente difficili. Noi curdi siamo nettamente marginalizzati e non riceviamo lo stesso trattamento che lo stato riserva ai Turchi. Nelle scuole turche per noi è un problema andare perché ci sentiamo discriminati e in quelle poche curde che ci sono è un problema avere un buon insegnamento, poiché per gli insegnanti curdi è difficile far carriera e quindi a volte gli insegnanti o sono non professionali o presenti a intervalli. A ogni modo il maggior problema nella conflittualità dei rapporti resta quello legale e dell'uguaglianza, perché per qualsiasi circostanza sarà molto raro che un curdo abbia pari trattamento dinnanzi alla legge rispetto a un turco e questo aumenta la paura nella popolazione di fare e intraprendere determinate strade».

Infine una domanda strettamente personale: cosa ti senti di dire dopo Il risultato del referendum e dopo questi ultimi terribili anni per i curdi per far capire alla gente cosa sta accadendo?

«Sul referendum di domenica vorrei dire che già non ha senso fare un referendum in un paese dove quasi tutte le città con minoranze curde c'è un coprifuoco e vengono fatti decreti e provvedimenti urgenti come scusa per aumentare la sicurezza nel paese, la libertà di manovra dell'esercito, dunque sottomettere i curdi e qualsiasi oppositore (non a caso prima del referendum è stato arrestato uno dei leader dell'opposizione, il curdo Demirtas). Inoltre io sostengo che molti votanti siano stati impauriti dalle armi dell'esercito e forse anche obbligati a votare SI da alcuni militari. Ma ciò che è stato veramente evidente e allucinante è come siano state rese valide e abbiano accettato schede non timbrate o stampigliate e questo è illegale secondo gli standard internazionali. Addirittura io ho visto un video dove si nota una persona che diceva di essersi stancata di timbrare per due ore SI! Tutto questo mi fa sorgere troppi dubbi. Ma al di là di come si è votato, non ha neanche senso e è anti democratico, il fatto che la propaganda è stata monopolizzata dai sostenitori del SI (sia nelle TV che negli eventi) e non c'era alcuna informazione per quanto riguarda le ragioni del NO. Beh, che dire, questo referendum è un vero e proprio "gioco di potere"».

Carlo Busini

Pubblicato il 1 maggio 2017

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