«Il primo viaggio a Parigi risale all'estate del 2006, da allora questa città non ha più cessato di ossessionarmi». L'amore di Sonia per Parigi

L'Italia della mia generazione è un Paese che uccide i sogni, è come una mano che schiaccia e livella, che spinge quotidianamente alla rassegnazione, che ti dice continuamente ''accontentati'' perché non puoi aspirare ad altro, né devi farlo. Accontentarsi di cosa? La vita è una sola, il mondo immenso, le scelte possibili infinite

 
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Sono partita per Parigi all'inizio di settembre 2012 con una borsa Erasmus di 9 mesi; non era la mia prima esperienza fuori casa, per cui il sentimento che mi dominava era l'entusiasmo, non tanto la preoccupazione: conoscevo già abbastanza bene la lingua, avevo già abitato da sola in un'altra città e, in più, era la mia quarta volta nella capitale francese.

Il primo viaggio a Parigi risale all'estate del 2006, da allora questa città non ha più cessato di ossessionarmi; mi sono innamorata dei suoi Boulevard senza fine, delle librerie affollate dietro Saint-Michel, dei cinema d'éssai del Quartiere Latino, delle passeggiate sui Quais della Senna, affascinata da tutti gli echi letterari che continuavano a condurmi lì, sempre lì. Ciò che davvero mi ha spinto a sceglierla come meta privilegiata è più di ogni altra cosa l'immensa offerta culturale che questa città propone.

I mesi di Erasmus hanno coinciso con il mio ultimo anno di studio universitario; ho frequentato per un anno la Sorbona, corso di antropologia culturale ed etnologia. Il sistema scolastico differisce su più fronti da quello italiano e, personalmente, ne sono rimasta molto delusa: i corsi, i seminari, mi sono sembrati meno appassionanti ed approfonditi rispetto a quelli seguiti a Bologna, i docenti nel complesso meno preparati, e la relazione studente-docente molto improntata ad uno stampo liceale più che universitario, impoverente rispetto all'ambiente cui ero abituata.

Nonostante questo aspetto, posso dire senza alcun dubbio di aver vissuto l'anno più ricco della mia vita, sia sul lato umano che su quello culturale. Ho conosciuto persone splendide, interessanti, piene di passioni e di curiosità, giunte a Parigi da tutti gli angoli del mondo, ma con in comune la stessa fame di vita e di arte, di bellezza. Queste persone nel giro di pochissimo tempo sono divenute una sorta di seconda famiglia, tanto che molte di esse le considero fra i miei affetti più cari di sempre; sembra incredibile, ma le relazioni e i legami che s'intrecciano in contesti particolari come questo seguono tutt'altre dinamiche e tempistiche affettive rispetto all' "ordinario". Alcune di queste persone sono diventate oggi i miei coinquilini, e Parigi, quella che considero la mia città.

Partire da soli per conoscere un altro Paese non è solo imparare perfettamente una lingua, né perdere l'ultima metro per rientrare a casa la sera, non è il districarsi in una burocrazia folle e macchinosa, o avere a che fare con impiegate odiose che fingono di non capirti. Partire da soli significa mettersi in gioco, abbandonare le sicurezze, scoprire davvero chi si è e cosa si è pronti ad offrire; significa mettersi a nudo, dimenticare tutto, aprire delle porte, reinventarsi.
Dopo un'esperienza del genere, tornare indietro è estremamente difficile, per me emotivamente impossibile, tanto che, come da programma, ho deciso di non farlo.

Ciò che mi ha spinto a rimanere a Parigi è quella sensazione che tutto fosse continuamente "in potenza", cosa che in Italia non avevo mai percepito; la sensazione che le mie passioni per la prima volta fossero "legittime". Sì, è soprattutto questo: l'idea che la fotografia, la letteratura, il cinema, tutto ciò che può essere assegnato al concetto di Arte, sia qui difeso, legittimato, onorato, è questo che più di ogni altra cosa mi convince. Che certe passioni non siano denigrate o assegnate al ruolo marginale di "hobby", impieghi di serie B, non-impieghi, soprattutto, cosa che invece avviene puntualmente in Italia. L'Italia della mia generazione è un Paese che uccide i sogni, è come una mano che schiaccia e livella, che spinge quotidianamente alla rassegnazione, che ti dice continuamente "accontentati" perché non puoi aspirare ad altro, né devi farlo. Accontentarsi di cosa? La vita è una sola, il mondo immenso, le scelte possibili infinite. E "casa" è il posto in cui siamo felici, non dove siamo nati.

Sonia Marzullo
 

 

 

 


Chiunque voglia contribuire e raccontare la sua storia può scrivere a redazione@valdelsa.net.

 

Pubblicato il 27 ottobre 2014

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