In cerca della scintilla per non sentirsi immobili

In questo inizio marzo ci sembra di vivere un déjà vu: era marzo, ma di un anno fa, quando ci eravamo da poco chiusi ognuno nelle proprie abitazioni, fiduciosi che sarebbe (forse) andato tutto bene

 GIULIA LOTTI
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E’ marzo, oggi, mentre ci prepariamo probabilmente ad una nuova chiusura. Solo che stavolta abbiamo meno risorse economiche, fisiche, psicologiche alle spalle.

Abbiamo perso pezzi per strada nel frattempo: diritti, talvolta anche persone care, la dignità di poterci alzarsi ogni giorno sapendo di aver un lavoro da svolgere, il naturale bisogno di confronto umano e socialità. Qualcuno si è sentito più utile o inutile di altri. Categorie tutelate, categorie vaccinate, categorie dimenticate, categorie additate come produttori di servizi ad alto rischio di contagio e, per questa ragione, sospesi fino a data da destinarsi.

Così ci siamo pian piano convinti di essere sprofondati in un buco nero: invece di ruote panoramiche e giostre, ad ogni cittadino è concesso di fare uno o più giri sulla classica ruota del criceto, attrazione da cui non si gode di un bello scenario e in cui, è risaputo, si fa una gran fatica per tornare poi al punto di partenza.

Il disagio psicologico più comune, correlato all’emergenza in atto, riguarda un vissuto di impotenza, ansia crescente, la sensazione di non riuscire, con le proprie risorse, a far fronte ad un esterno che minaccia costantemente il nostro equilibrio, bussando, con tutta la sua urgenza e insistenza, alle porte della mente.

Ma marzo è anche il mese in cui tante cose si risvegliano e decidono di fiorire, di provare a vivere lo stesso. Me lo ricordano le due magnolie vicino a casa mia, belle e delicate, nei loro vestiti rosa e glicine. Me lo rammenta l’aria tiepida che entra adesso dalla finestra sempre aperta dello studio in cui lavoro. Ho maledetto per mesi quello spiffero gelido che, durante le sedute, mi arrivava dritto in fronte e a poco valeva alzare di qualche grado la temperatura del termostato.

Adesso, invece, ringrazio quel tepore che arriva, insieme al canto degli uccellini, a far compagnia alle pause silenziose che si creano prima di fare un tuffo nel coraggio, nella paura o nel mare dentro cui, in quel momento, ci troviamo a navigare.

Accendere sempre un pò più tardi la luce, alleggerire ogni giorno un pò di più gli abiti che ci mettiamo addosso. E allora, forse, non è tanto corretto ripeterci che siamo fermi, che succedono solo cose brutte, che il terreno è arido sotto il manto di tristezza che, indubbiamente, ci avvolge. Siamo in viaggio, sempre. La mente, o l’anima come mi piace di più pensare, si posa sugli alberi per fiorire con loro, ascolta i suoni che ci circondano, che sono occasione di sveglia dal torpore e di compagnia.

C’è una parte di noi che assiste al cambio di guardia tra il sole e la luna, per ricordarci che dentro abitano luce e buio, paura e coraggio, e sono entrambe stanze belle da vivere. La nostra anima non smette di camminare, anche se  i piedi inciampano. Non si stanca di desiderare, sperare, osare, rischiare, amare, incontrare e credere. Quindi non è vero che siamo totalmente immobili, solo perché ci si può muovere poco. Non è vero che siamo isolati perché non si può più socializzare come vorremmo, o inutili perché impossibilitati a lavorare.

Abbiamo una bussola interiore in grado di orientarci sul residuo di possibilità in mezzo all’impossibile. Una bussola che si muove verso la vita anche quando tutto appare statico. E’ vero che con questa essenza impalpabile, questa scintilla, non si mette a tavola una famiglia, non si comprano abiti nuovi, né si pagano le bollette. E’ vero che il mio è uno dei lavori che non è stato mai fermato dall’emergenza e forse posso solo vagamente capire cosa si provi a stare fermi. Però so quanto mi mancano tutti gli spazi creati dai lavoratori messi in pausa e lo so perché hanno contribuito, nel tempo, ad arricchire proprio quella scintilla ( chiamatela anima, mente, essenza o come credete meglio..) che ora continua a farmi credere che c’è ancora luce nella notte.

I supermercati vendono materie di prima necessità  per il corpo ma il cinema, i teatri, i concerti, i laboratori artistici, espressivi, le letture ad alta voce, nutrono quella scintilla e garantiscono un viaggio senza fine, anche stando appunto fermissimi.

E non è forse nei ristoranti o seduti di fronte ad un caffè che ci siamo raccontati le novità, i segreti più belli e, a volte, purtroppo, anche quelli più brutti?! Oltre alla salute, diritto senza dubbio primario, deve essere garantito ad ogni lavoratore di non sentirsi inutile, di non sentirsi ultimo nella lista delle priorità. Però è anche vero che senza la nostra scintilla e il suo propagarsi, si diviene burattini immobili perché il passato è uno spettacolo dai contorni ormai sbiaditi mentre il futuro è un quadro davvero troppo astratto per coglierne ora il senso profondo.

L’oggi, invece, è fatto di una stagione che non ci nega, nonostante tutto, la sua fioritura, se sappiamo guardare solo un pò oltre il panorama offerto dalla nostra finestra. Se lasciamo uno spiraglio a quell’anima che, anche se stanca, non si negherà un biglietto per un volo leggero, oltre i confini di casa.

Per cui, ogni volta che ci sentiamo immobili, inchiodati in una realtà che ci stanca e ci demotiva, possiamo chiederci che cosa accende ancora quella scintilla, con quale suono, immagine, odore i nostri sensi si riconnettono al mondo del possibile, tra le tante porte che, invece, sappiamo di non poter oltrepassare.

Giulia Lotti - Sono nata e cresciuta a Poggibonsi, dove vivo con la mia famiglia. Mamma di Stella e Pietro, rispettivamente di 5 e 9 anni. Svolgo sul territorio l’attività di psicoterapeuta, lavorando sia in libera professione, alla Pubblica Assistenza di Poggibonsi, che presso la Casa di Reclusione di San Gimignano. La mia passione per le storie di vita nasce fin da bambina, quando chiedevo a mia nonna di leggermi fiabe e racconti i cui protagonisti erano persone impegnate nelle varie tappe del vivere quotidiano, che amavano, soffrivano e, a loro modo, provavano a disegnare i confini entro i quali esistere. Con il tempo, ho coltivato l’amore per la lettura e per la scrittura introspettiva, scegliendo poi un lavoro attraverso cui le storie e i protagonisti dei racconti di vita trovassero uno spazio, quello della terapia, appunto, dove potersi fermare, raccontarsi e raccogliere l’entusiasmo necessario per riprendere il viaggio. La rubrica “Una stanza tutta per sé” vuole essere un’occasione per riflettere, condividere storie, tessere un filo comunicativo tra le persone. Una stanza per noi ma con finestre comunicanti, da cui poter parlare, ascoltare, entrare in sintonia con noi stessi e con gli altri.

 

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Pubblicato il 14 marzo 2021

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