Intervista a Giorgia, colligiana che gira l'Europa con lo zaino
«Credo che tutti noi siamo molto fortunati, grazie all'Unione Europea possiamo facilmente spostarci da un paese all'altro, lavorare ovunque senza aver bisogno di grossi visti o impedimenti burocratici. In più io e il mio compagno conosciamo molte lingue e questo ci aiuta tanto per trovare lavoro. So parlare fluentemente l’inglese e il tedesco, in più ho imparato anche un po’ di spagnolo e francese»
Ciao Giorgia, perché hai deciso di lasciare l’Italia?
«Per me è stata una scelta abbastanza naturale. Ho studiato per qualche anno graphic design all’Accademia di Belle Arti di Brescia, ma poi ho abbandonato per vari motivi personali e lavorativi. Sono tornata in Toscana e ho iniziato a svolgere alcuni lavori durante l’estate. Finita la stagione ero stanca e con pochi soldi, così ho comprato un biglietto e sono andata in Scozia».
Conoscevi qualcuno lì?
«Sono partita da sola, non conoscevo nessuno, ero andata semplicemente in esplorazione. Era un posto che mi aveva sempre affascinata, anche se all’epoca ero piuttosto disperata per cui fu una scelta di pancia più che altro. Avevo un po’ di paura ma la voglia di andare via era più forte. Lì ho conosciuto Jakub, cioè il mio attuale compagno, che mi ha introdotta verso uno stile di vita non standard. Sia io che lui non abbiamo una casa, abbiamo solo uno zaino a testa, lavoriamo stagionalmente e cambiamo posto ogni volta. Così, dopo averlo conosciuto, sono andata a fare la mia prima stagione invernale sulle Alpi in Austria, rimanendo lì fino a primavera per poi tornare in Scozia. Dopodiché abbiamo iniziato a spostarci più o meno ogni cinque mesi. Lavoriamo sempre nel settore alberghiero. Siamo stati in Islanda, quest’estate in Norvegia, in inverno torneremo per la seconda volta in Finlandia. In questo momento ci troviamo in Moldavia, ma siamo qui solo per fare un giro, presto tornerò in Italia. Lavorando stagionalmente abbiamo tanto tempo libero tra una stagione e l’altra, quindi abbiamo tanto tempo per viaggiare».
Cambiare paese di continuo non ti mette un po’ di paura?
«Credo che tutti noi siamo molto fortunati, grazie all’Unione Europea possiamo facilmente spostarci da un paese all’altro, lavorare ovunque senza aver bisogno di grossi visti o impedimenti burocratici. In più io e il mio compagno conosciamo molte lingue e questo ci aiuta tanto per trovare lavoro. So parlare fluentemente l’inglese e il tedesco, in più ho imparato anche un po’ di spagnolo e francese».
Immagino che invece l’islandese sia molto difficile.
«L’islandese sì, ma il norvegese, se fossi rimasta un po’ più a lungo, penso che l’avrei imparato, perché è molto semplice come lingua».
Come funziona questa cosa che tu e il tuo compagno non avete una casa?
«Abbiamo poche cose, all’inizio io avevo solo una valigetta, anche se non era molto pratica, quindi sono passata allo zaino. Ho dovuto buttare quasi tutto quello che avevo, per cui la ragazza che è in me un po’ ne soffre, non posso fare shopping, avere tante scarpe e cose di questo tipo. Però poi ci si abitua e alla fine non è così male. Abitiamo sempre in posti sperduti, per cui non ci servono abiti eleganti, se compro qualcosa di carino lo lascio a casa di mia mamma».
Oltre alla Scozia, l’Austria e i paesi Scandinavi, dove sei stata nel corso della tua vita?
«Siamo stati per tre mesi nel Caucaso, semplicemente in viaggio, non per motivi di lavoro. Siamo partiti da Praga, siamo passati dai Balcani e dalla Turchia e poi, andando verso est, siamo andati in Georgia, Armenia e Azerbaijan, passando anche per il Nagorno-Karabakh, una regione contesa tra armeni e azeri in cui di fatto c’è la guerra. Non è difficile entrare in questo territorio, anche se devi farlo per forza dall’Armenia. Siamo rimasti lì una settimana e mezzo, c’era il coprifuoco, ogni tanto sentivamo anche degli spari e nel periodo in cui siamo stati noi sono state uccise venti persone. La polizia tiene alla larga i turisti da certe aree, per cui la guerra non la vedi mai, puoi capire quello che c’è stato, ma mai esattamente quello che succede».
Parlando di cose più leggere, qual è il paese più bello che hai visitato?
«Non lo so in realtà perché ogni paese è diverso, però da un punto di vista naturale l’Islanda è un altro pianeta. Se la gioca un po’ con la Norvegia, sono stata a lavorare a Nord delle Isole Lofoten e lì il panorama è molto bello, a volte sembra di vivere in un episodio di National Geographic».
E il lavoro più strano che hai fatto?
«Quello che faccio in Finlandia. D’inverno lavoro come guida turistica a stretto contatto con una famiglia sami, hanno circa duecento renne, trasportiamo la gente sulle slitte. Ci troviamo a 200 chilometri a Nord di Rovaniemi e ovviamente abbiamo molto turismo durante il periodo natalizio».
Cos’è che ti spinge a viaggiare così tanto?
«Di base la curiosità, ma poi diventa un po’ una dipendenza, nel senso che quando cominci a fare lunghi viaggi il tuo approccio alla vita di tutti i giorni cambia radicalmente. Quando ti ritrovi ogni giorno a pensare a dove andare, se fermarti o meno in un posto, diventa quasi un lavoro».
Qual è la cultura più diversa dalla nostra con cui hai avuto a che fare?
«A Xinaliq, in Azerbaijan, sulle montagne del Caucaso. È una piccola comunità di forse duecento abitanti, per arrivarci ci vogliono circa due ore di macchina, è in mezzo ad una vallata semi sperduta a moltissimi metri sopra il livello del mare. Vivono lì da cinquemila anni, senza grossi contatti con il mondo esterno, hanno la loro lingua, la loro cultura. L’elettricità è disponibile soltanto per tre ore al giorno, internet non esiste. In più non hanno alberi. La vita è simile a quella di cento anni fa. È un posto bellissimo ed incredibile».
Ogni quanto torni a Colle? Cosa ti manca di più?
«Normalmente torno ogni cinque mesi e cerco di rimanere per una settimana. Adesso è da un anno che non vado a casa, ma rientrerò proprio in questi giorni. La Val d’Elsa in generale è uno dei posti più belli e calmi del mondo, mi manca la nebbia tra le colline la mattina presto, poi ovviamente la famiglia e gli amici. Casa è sempre casa».
Vincenzo Rosario Battaglia
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Pubblicato il 28 ottobre 2019