L’esperienza a "Master of Photography", i progetti e la carriera fotografica. L'intervista a Niko Coniglio

La storia di Niko Coniglio, ventinovenne sangimignanese fotografo di professione, si caratterizza per il particolare rapporto con sua madre e per i vari lavori e i progetti che lo hanno avvicinato a nomi ed etichette molto famose. Cerchiamo di comprendere più a fondo le ragioni e gli obiettivi del giovane talento valdelsano attraverso il racconto del proprio “percorso fotografico” e del suo rapporto con la fotografia

 NIKO CONIGLIO
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Puoi parlarci del programma “Master of Photography”, di che cosa si tratta e che cosa quindi andrà in onda su Sky?

«Non posso dire molto perché ovviamente non posso “spoilerare” niente e dare informazioni su quello che succederà, ma in generale, basandomi anche sulla prima serie, si tratta di un talent per fotografi dove si susseguono varie prove che si svolgono nell’arco di 8 settimane. I fotografi vengono mandati in giro per tutta Europa per fare queste prove e mostrare così le loro abilità. Solo i più bravi e tenaci riusciranno a superare determinate sfide andranno avanti nel talent, gli altri verranno eliminati».

Tu in particolare, che rapporto hai con la fotografia e cosa significa e ha significato il rapporto con tua madre in relazione a questa?

«In generale io mi sono avvicinato alla fotografia tardi, esattamente nel 2009 quando ho iniziato l’Accademia a Milano di Brera e prima d’ora non avevo avuto mai niente a che fare con la fotografia. Durante gli anni dell’Accademia ci chiedevano di fare dei progetti a tema libero e l’unica cosa che mi venne in mente in maniera immediata era quella di provare a raccontare la mia storia. Iniziai con un progetto su mio padre che morì quando avevo solo 3 mesi, ma ciò non mi permise di muovermi molto con la macchina fotografica e di esprimermi al meglio. Poi iniziai proprio a fotografare mia madre e così a usare “la macchina” direttamente e a mano a mano mi accorsi che riuscivo a raccontare qualcosa di me attraverso di lei. Iniziò così il progetto, che non è solo incentrato su mia madre, ma raccoglie diversi elementi che tutti assieme riescono a raccontare una storia originale: la mia, quella della mia famiglia e del mondo che ci circonda. “Uso mia madre”, potremmo dire, come soggetto primario per studio, come punto da cui diramare cose nuove e far partire i miei lavori; oppure metto proprio in scena situazioni che nella realtà non esistono ma “diventano un’esperienza nel momento in cui lo fai”. Inoltre il progetto con mia madre è stata anche un’occasione per riavvicinarsi a lei,visto che siamo stati molto lontani e pertanto all’inizio ci ho puntato molto proprio per questo motivo anche».

Quindi quali tappe ci sono state durante la tua formazione e i tuoi studi?

«In realtà non avevo proprio le idee chiare, infatti cominciai facendo la triennale di Scienze della Comunicazione a Siena e poi volevo andare a Milano, ma non per la fotografia, bensì per suonare. A Milano c’era una scuola che volevo frequentare, ma mi iscrissi alla specialistica e mi iscrissi appunto al corso di fotografia, nonostante volessi fare il musicista in quel periodo. Mi sono accorto che proprio attraverso la fotografia mi potevo esprimere in un modo che non ho trovato in altri mezzi, nemmeno nella musica, e quindi ho continuato su quella strada. Appena finita l’università ho avuto subito l’occasione di collaborare con Mario De Biasi, che era un fotografo storico italiano, e da lì iniziai a ricevere le prime richieste, tipo da” Jazz.it”, perché avevo fotografato i musicisti del Siena Jazz. In seguito conobbi anche Giovanni Caccamo, il quale mi fece fare qualche lavoro, e poi ho avuto modo di lavorare per etichette importanti come la Sony e Picicca. Dopo che mi ero creato questo bagaglio professionale, esposi dei miei lavori anche fuori dall’Italia: a Miami, in Cina, a Mosca e in Danimarca. Ma probabilmente quello più importante è stato proprio in casa, a Milano, per Vogue».

In conclusione una domanda strettamente personale: che cosa vuoi portare e cosa vuoi trasmettere oggi con la fotografia e con i tuoi progetti? Qual è il tuo intento?

«Il mio sogno sarebbe quello di poter collaborare con i musicisti tramite la fotografia e portare avanti un progetto fotografico nel panorama musicale: la fotografia strettamente condensata con la musica. A ogni modo, indipendentemente dal progetto, a me piace mettere in scena le fotografie. Se ho una determinata idea punto a realizzare quell’idea attraverso la fotografia e questo credo sia la cosa più importante, ovvero trovare sempre un’idea in cui credo veramente in partenza, tipo l’idea della mia storia».

Carlo Busini

Pubblicato il 7 maggio 2017

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