Il valore della Festa della Repubblica italiana in pandemia

L'intervista ad Elena Bindi, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, dell'Università di Siena

 ELENA BINDI
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In occasione del 2 giugno, festa della Repubblica italiana abbiamo intervistato Elena Bindi, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, dell’Università di Siena.

Bindi qual è il valore oggi della festa della Repubblica, tenuto conto del periodo che stiamo attraversando?

«Oggi si festeggia il 75° anniversario di un evento fondamentale della storia italiana del secondo dopoguerra, il referendum istituzionale per scegliere tra monarchia e repubblica. Il 2 giugno del 1946 il corpo elettorale italiano fu difatti chiamato a votare per la “questione istituzionale” con un referendum che sancì la vittoria della repubblica, spazzando via il clima d’incertezza che attraversava il Paese. Calamandrei definì quel voto popolare un «miracolo della ragione, perché nonostante «tutta la tattica della monarchia e dei monarchici», la repubblica aveva vinto e il popolo italiano aveva finalmente preso le distanze da una monarchia delegittimata in quanto collusa con il fascismo. Votare la repubblica significava quindi celebrare i valori della resistenza, ricordando così in silenzio tutti gli italiani morti per la libertà, senza tradire il loro lascito. Ma il 2 giugno 1946 fu anche il giorno in cui si realizzò un altro evento fondamentale per la storia del nostro Paese, l’elezione dell’Assemblea costituente, che avrebbe avuto il compito di scrivere la Costituzione italiana. Furono proprio queste elezioni che videro per la prima volta le donne italiane chiamate a votare per elezioni politiche e 21 di esse furono perfino elette (facendo il loro ingresso nell’Assemblea costituente composta complessivamente da 556 membri). Questi due eventi getteranno le basi di un ordinamento del tutto nuovo, che trova ancora adesso fondamento nella Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948 e nella quale furono trasfusi gli ideali della resistenza. La Costituzione italiana era infatti una costituzione rinnovatrice, che mirava alla trasformazione della società, segnando una netta frattura non solo con l’ordinamento fascista, ma anche con il precedente Stato liberale ottocentesco. Occorreva pertanto darle attuazione, per riuscire a mantenere le promesse in essa scritte. Il valore oggi di questa festa risiede proprio nel ricordare non solo quanto lungo e difficile sia stato il cammino per la conquista della libertà e quanti italiani siano morti per riscattare il nostro popolo dopo venti anni di dittatura. Ma anche nel testimoniare ancora una volta che le promesse vanno mantenute, perché la Costituzione non ha fissato un punto fermo, ma ha aperto le vie dell’avvenire. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza politica, perché l’indifferenza alla politica apre le porte alla dittatura. Calamandrei si appellava infatti ai giovani affinché partecipassero alla vita politica e contribuissero al progresso della società, ricordando loro che «sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica» perché «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare». 

Secondo lei questa celebrazione assume un valore diverso quest’anno?

«A 75 anni dal 2 giugno 1946, le mete da raggiungere sono ancora molte, prima fra tutte una democrazia paritaria. Molte le donne elettrici, ma poche le donne che vengono elette; come in quel lontano 2 giugno del 1946, la storia si è ripetuta per quasi settanta anni. Una prima inversione di tendenza si ebbe in verità all’inizio degli anni ’90, quando la classe politica della c.d. Prima repubblica fu travolta dalle inchieste di mani pulite e cercò di rilegittimarsi di fronte agli elettori candidando alcuni volti nuovi, tra cui diverse donne. Le riforme legislative approvate a seguito dei referendum abrogativi delle leggi elettorali introdussero per la prima volta misure per promuovere la rappresentanza femminile negli organi elettivi, ma su di esse calò la scure della Corte costituzionale, che le dichiarò incostituzionali. Dovemmo aspettare due riforme costituzionali, una nel 2001 e l’altra nel 2003, per legittimare l’introduzione di misure promozionali della rappresentanza di genere e vedere migliorare i dati sulla presenza delle donne negli organi elettivi. In particolare, la legge elettorale attualmente in vigore per l’elezione del Parlamento (l. n. 165 del 2017) ha permesso di raggiungere la percentuale più alta di presenze femminili nelle due Camere della storia repubblicana: 225 deputate e 109 senatrici, il che equivale al 35% di presenza femminile. Meno rosea è la situazione a livello regionale, come hanno dimostrato da ultimo le Regioni che sono andate al voto nel 2020. Per non parlare delle cariche di vertice: in 75 anni, nessuna donna è mai stata eletta Presidente della Repubblica o nominata Presidente del Consiglio dei Ministri; una donna soltanto è stata eletta Presidente del Senato (Maria Elisabetta Alberti Casellati) e una soltanto Presidente della Corte Costituzionale (Marta Cartabia). Ma anche distogliendo lo sguardo dalle cariche elettive, la situazione non migliora, anzi la pandemia ha sicuramente aggravato la situazione. Le responsabilità per gli impegni familiari, in particolare la cura di figli e genitori anziani, se le sono dovute accollare le donne: se c’è bisogno di compensare la carenza di servizi, in primis la scuola, entrano in gioco le donne, di età compresa tra i 25 e i 70 anni, spesso con un lavoro anche al di fuori della famiglia. Per non parlare dei dati relativi al tasso di occupazione femminile che mostrano impietosamente quanto le lavoratrici donne siano state colpite dalla pandemia. Per questo a 75 anni dal voto riconosciuto alle donne, e soprattutto a 75 anni dalle battaglie per realizzare una società più giusta fatta di uomini e di donne con stessi diritti e stessi doveri, si avverte ancora di più la necessità di realizzare i principi fondamentali di giustizia sociale, nei quali tanto avevano creduto i nostri costituenti e le nostre costituenti, qualunque fosse il loro credo politico. Il valore diverso di questo 2 giugno in tempo di pandemia è espressione della ormai acquisita consapevolezza che chi esercita il potere politico, affidatogli dal popolo, deve funzionalizzarlo innanzitutto a servizio di chi parte da condizioni sociali di svantaggio, per dargli almeno eguali opportunità di affermazione sociale, e per realizzare finalmente la democrazia paritaria».

Lodovico Andreucci

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Pubblicato il 2 giugno 2021

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