Mafia e anticrimine. A Colle il giornalista Bolzoni, autore de 'Il capo dei capi'

Bolzoni: «Ma voi lo sapete dove è morto realmente il giudice Falcone? A Capaci? No, non era a Capaci. Vicinissimo a lì, ma non lì. Come facciamo a combattere la mafia se non riusciamo nemmeno a ricordare il luogo preciso in cui è morto Giovanni Falcone? E ricordate, che la mafia e le altre organizzazioni criminali non esistono più solo a sud, perché esse si sono trasferite soprattutto nelle regioni del nord, quindi è un problema di tutti e non solo dei siciliani e dei meridionali»

 
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Giovedì 12 aprile alle ore 18, presso la sede della Misericordia di Colle di Val d’Elsa, si è tenuto l’evento “L’anticrimine fa scuola”, incentrato sul tema della mafia, con gli interventi dell’avvocato Bozzi, il generale Angiolo Pellegrini e il giornalista de “La Repubblica” Attilio Bolzoni. All’iniziativa erano presenti all’incirca una trentina di persone, tra cui il primo cittadino colligiano Paolo Canocchi.

Dopo una breve presentazione del Governatore della Misericordia di Colle Francesco Pedani, ad aprire l’argomento è stato l’avvocato Bozzi, con una parentesi storica sulla nascita e l’evoluzione della mafia, soffermandosi poi in particolar modo su come, dal punto di vista normativo, è possibile combattere tale sistema.

«La mafia esiste da più di 200 anni – afferma l’avvocato – ma possiamo iniziare a parlare giuridicamente di essa solo dal 1982, con l’introduzione del 416 bis, che riconosce il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Fino ad allora, è come se tutte le vittime dovute ad essa fossero state causate da una semplice criminalità locale».

A proseguire il dibattito è stato lo scrittore e giornalista Attilio Bolzoni, forse conosciuto ai più per aver scritto il libro “Il capo dei capi” da cui poi è stata tratta l’omonima serie televisiva, di cui ne è uno degli sceneggiatori.

«La mafia può cambiare pelle, può cambiare giacca, ma in fondo rimane sempre la stessa – spiega – esiste da oltre 200 anni ed esiste tutt’oggi, ed è sempre uguale. Un cambiamento si ha avuto dalla metà degli anni '70 fino ai primi anni '90, anni in cui la mafia ha combattuto una guerra aperta contro lo Stato, trasformandosi in una mafia terroristica. Ma la vera mafia è quella di oggi e quella che c’era prima di quegli anni, silenziosa e concentrata negli affari. Oggi però è più difficile individuare i mafiosi, frequentano le nostre stesse pizzerie o gli stessi bar dei nostri figli, l’unica speranza per sconfiggerla definitivamente sarebbe quella di avere non pentiti di mafia, ma pentiti di Stato per buttare giù il muro dell’omertà, ma ciò ad oggi non è mai successo».

Bolzoni prosegue raccontando brevi aneddoti lavorativi avvenuti duranti quegli anni, ricordando soprattutto i primi incontri con l’allora capitano Pellegrini. L’incontro continua così con l’intervento di quest’ultimo: «Era il 1980 quando ho assunto il comando della sezione Anticrimine dell'Arma dei Carabinieri. Avevo già lavorato in Calabria contro la ‘ndrangheta, ma non sapevo bene cosa aspettarmi dalla Sicilia di quegli anni, dove non conoscevo nessuno. Mi ero trasferito senza famiglia, a differenza di altri miei colleghi poi morti in servizio, ma ho avuto il vantaggio di poter scegliere personalmente gli uomini che avrebbero costituito la mia squadra di lavoro». Inizia in questo modo Pellegrini, ricordando quelli che sono stati i primi passi che hanno costituito le basi dei maxiprocessi, con la collaborazione di altri colleghi delle Forze Armate e vari magistrati, tra cui Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

«Chinnici ebbe l'idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell'Ufficio (poi nota come pool antimafia) – continua Pellegrini – e quando arrivarono Falcone e Borsellino vennero criticati perché ritenuti inesperti sul tema. Falcone iniziò a crearsi i primi nemici da quando capì che “i soldi hanno odore”, decidendo così di iniziare a controllare i conti in banca di molti sospettati, rischiando di buttare giù quasi metà dell’economia siciliana. Da quel momento iniziò ad essere tenuto d’occhio e iniziarono i primi tentativi per fermarlo. Una grande svolta ci fu con la collaborazione di Tommaso Buscetta, anche se le sue dichiarazioni servirono soprattutto a confermare ciò che già sapevamo. In quel periodo ero spesso a Roma con il magistrato, che nella capitale si trovava senza scorta e passeggiavamo tranquillamente, perché sapevamo che lì la mafia non lo avrebbe mai colpito, lo avrebbero fatto fuori solo in Sicilia, per dargli una punizione più eclatante. Falcone fu lasciato solo da molti, anche quando lo accusarono di essersi fatto da solo l’attentato che non fu portato a termine».

Il generale ricorda fra tanti anche la figura di Carlo Alberto dalla Chiesa, uno dei carabinieri più importanti e famosi in quegli anni, mandato apposta in Sicilia per sconfiggere la mafia. Dalla Chiesa richiese poteri speciali per cercare di eseguire la missione, ma ciò gli fu impedito e con lui, come è stato scritto su una targhetta presente nella via in cui è stato assassinato, per molti è morta la speranza dei palermitani onesti.

«La lotta alla mafia è stata impedita da molti all’interno dello Stato – conclude Pellegini – in tanti modi hanno cercato di screditare o di impedire a Falcone di fare il suo lavoro. Cercarono di escluderlo dalle indagini che riguardavano la mafia affidandogli qualsiasi altra pratica per tenerlo occupato. Gli fu impedito di creare la DIA così come era la sua idea originale, ma soprattutto, non gli fu affidata la guida dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia, posto che tutti pensavano che spettasse a lui».

A concludere l’incontro è il giornalista Bolzoni: «Ma voi lo sapete dove è morto realmente il giudice Falcone? A Capaci? No, non era a Capaci. Vicinissimo a lì, ma non lì. È morto in un piccolo comune chiamato Isola delle Femmine. Voi penserete che questo è solo un dettaglio di poca importanza, ma come facciamo a combattere la mafia se non riusciamo nemmeno a ricordare il luogo preciso in cui è morto Giovanni Falcone? E ricordate, che la mafia e le altre organizzazioni criminali non esistono più solo a sud, perché esse si sono trasferite soprattutto nelle regioni del nord, quindi è un problema di tutti e non solo dei siciliani e dei meridionali».

Mary Piccirillo

Pubblicato il 16 aprile 2018

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