Nuova tappa del viaggio di ''Noi, italiani all'estero'': due chiacchiere con Nicolò, dottorando a Newcastle Upon Tyne

Al termine del proprio percorso di studi sono sempre di più i ragazzi che scelgono di fare un'esperienza all'estero. Uno di questi è Nicolò che, dopo la laurea in CTF (Chimica Farmaceutica) all'Università di Siena, è partito per il dottorato di ricerca e da un anno e mezzo circa di trova a Newcastle Upon Tyne in Gran Bretagna

 ITALIANI ALL'ESTERO
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Al termine del proprio percorso di studi sono sempre di più i ragazzi che scelgono di fare un'esperienza all'estero. Nella nostra rubrica, ne abbiamo già incontrati alcuni che, per un motivo o per un altro, hanno deciso di trascorrere un periodo più o meno lungo fuori dall'Italia. Uno di questi è Nicolò che, dopo la laurea in CTF (Chimica Farmaceutica) all'Università di Siena, è partito per il dottorato di ricerca e da un anno e mezzo circa si trova a Newcastle Upon Tyne in Gran Bretagna. Ecco cosa ci ha raccontato.

Perché sei partito?
«Perché non ho trovato niente di meglio in Italia. Ho cercato un dottorato, però è difficile trovare spazio all'interno delle università italiane. Soprattutto perché di solito molti studenti che hanno preparato la tesi di laurea qua richiedono di fare il dottorato nelle loro Università con il loro professore, lo stesso che li ha seguiti per anni. Quindi ho provato una strada diversa all'inizio e ho mandato il mio curriculum a tutte le aziende farmaceutiche italiane, ma senza ricevere quasi mai nessuna risposta, tranne un colloquio con un'azienda che mi proponeva uno stage a Pescara pagato 400 euro per sei mesi... così... a caso, senza nessuna possibilità di sviluppo. Allora ho provato anche a cercare qualcosa all'estero, qualcosa che potesse darmi da vivere».

C'avevi mai pensato prima?
«Se devo essere sincero avevo una pulce nell'orecchio, ma non ci avevo mai pensato concretamente. Anche perché la lingua inglese non era il mio forte... (Non è tuttora il mio forte). La tutor della tesi me lo aveva accennato, chiedendomi se ero interessato a un dottorato all'estero e mi ha messo in contatto con un professore di qua e da lì è iniziata questa storia che adesso sto vivendo».

Capita spesso che ci siano questo tipo di "contatti" tra un professore di uno stato e un altro?
«Mah... Se devo essere sincero, non lo so. Però, per esempio, parlando con il mio supervisor di adesso, mi sono accorto che ricercano soltanto gente valida all'estero».

Che s'intende per valido?
«Gente che è sveglia, che ha voglia di lavorare, che già è stata settata dalla scuola italiana».

Qualche esempio? Ci sono delle qualifiche più adatte di altre per mettere in luce uno studente che magari vorrebbe fare un'esperienza all'estero?
«Conta molto la valutazione che ha il tutor della tesi, su come uno studente lavora. In ambito di ricerca la tesi è il primo step, diciamo. E' una sorta di campo di prova per tutto quello che viene dopo. Se hai intenzione di fare ricerca e di intraprendere la carriera accademica, la tesi è senza dubbio il primo passo. Devi farla bene, devi farla con impegno e soprattutto ti deve piacere. Se non ti piace vuol dire che quella non è la tua via. Per quanto riguarda il mio campo, il laboratorio è fatto di tanti sacrifici, è fatto di tante sconfitte (più sconfitte che vittorie); perché fai ricerca, esplori qualcosa che nessuno ha mai fatto. Di conseguenza è molto facile sbagliare».

Era la prima esperienza che facevi all'estero?
«Sì, è la prima esperienza che faccio all'estero. Non ho mai avuto altre occasioni, anche perché mi sono sempre pagato gli studi universitari. Perciò prima finivo meglio era... e ho sempre visto l'Erasmus, per esempio, come un allungamento dell'iter. Per quanto riguarda invece soggiorni estivi o cose così, diciamo che sono sempre stato un "bighellone"».

La lingua?
«La lingua era un enorme problema. Ho preso a malapena il PET nel 2008. Diciamo che mi sono messo sotto di buona lena e l'ho studiata, anche perché è uno degli sbarramenti che si pone se vuoi andare a studiare all'estero. Per quanto tu possa avere le migliori qualifiche del mondo, se non hai un livello di inglese adeguato loro non ti prendono. Gli esami che devi sostenere sono poi di un alto livello... insomma, è stata abbastanza dura!».

E adesso come ti trovi?
«L'Inghilterra non è il mio posto, non mi ci trovo poi così tanto a mio agio. Però posso dire anche che ha tanti lati positivi, in quanto è la prima esperienza fuori da casa, è la prima esperienza di lavoro, è la prima esperienza in cui mi trovo con persone che non sono lì per seguirmi totalmente ma sono persone con cui devo collaborare; e in più è un bello stimolo anche perché, comparata con l'Università italiana, l'Università inglese è un sacco più qualificante. Ha più strumentazione e più possibilità. Se in Italia stavo in una cappa con altre due persone, adesso ho la mia cappa. Se in Italia avevo la vetreria di laboratorio tutta condivisa con tutti gli altri, adesso ho la mia vetreria. Insomma, ora ho la mia attrezzatura personale mentre in Italia la condividevo per motivi economici.
Poi, il trovarsi bene all'estero o meno è anche condizionato dal fatto che sei lontano dalla tua famiglia, dai tuoi amici, dalla ragazza, da tutta la routine che ti ha condizionato la vita per venticinque anni. Perciò è comunque un trauma. E' un trauma ricominciare da capo a cercare amici, abituarsi ad un posto nuovo...».

E' più un trauma buono o no?
«Ha dei lati positivi ma anche negativi. Quelli positivi sono che sei eccitato dalla scoperta, sono cose che ti aprono la mente, che ti cambiano, sono cose che sicuramente ti maturano. Però sono anche cose che ti spaventano, che ti scombussolano tutto. E sono cose che (e questa è una cosa sia positiva che negativa) ti permettono di adattarti perché te ne danno la possibilità ma allo stesso tempo ti costringono anche».

E per il futuro?
«Per il futuro l'obiettivo è quello di prendere il dottorato e cercare di tornare in Italia. Non perché qui non mi ci senta bene, ma perché non è il mio posto, non vedo qui lo sviluppo della mia vita».

Chiunque voglia contribuire e raccontare la sua storia può scrivere a redazione@valdelsa.net

Pubblicato il 12 gennaio 2015

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