Poggibonsi, anno 1827: tra ''calasine'', succiameli e alluvioni

L'economia di Poggibonsi si reggeva a quei tempi soprattutto sull'agricoltura come, del resto, l'economia della Toscana intera

 FRANCO BURRESI
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Non so per quale motivo noi, ragazzi negli anni ‘50/’60, eravamo così crudeli con certi animali. Le farfalle le cacciavamo con il fucile ad elastico, le lucertole rimanevano spesso private della coda, le cicale, che erano numerose a quei tempi, le catturavamo con una canna e le mettevamo in un sacchetto di carta per poi farle sciamare in volo tutte insieme, ai maggiolini legavamo una zampetta con un filo sottile per vederli volare attorno, entro il raggio del filo stesso... Devo dire, per onestà, che io non ero tra i peggiori torturatori e di tali sevizie ne ho fatte pochissime.

Forse perché non avevamo tanti giocattoli come adesso, forse perché eravamo sottoposti ad una dura legge di obbedienza verso i grandi e ce la rifacevamo con chi era più debole di noi, forse per un certo gusto sadico che c’era (e c’è) a volte nei ragazzi... chissà...

Quello che per noi rappresentava un oggetto di divertimento, il maggiolino, o “calasina”, come ancora si chiamava negli anni ’50, era invece un oggetto di estrema preoccupazione per gli agricoltori di Poggibonsi, e non solo, della prima metà del sec. XIX°.

L’economia di Poggibonsi si reggeva a quei tempi soprattutto sull’agricoltura come, del resto, l’economia della Toscana intera. Il commercio era abbastanza sviluppato, c’erano varie lavorazioni artigiane, si coltivava il baco da seta, ma l’agricoltura era l’attività portante della città. E l’agricoltura era sottoposta però alla bizzarria delle stagioni, al gelo, alla siccità, ai fenomeni atmosferici eccezionali che anche allora devastavano qualche volta le campagne, allo straripamento dei fiumi e, talvolta, anche alle malattie delle piante, all’arrivo di insetti dannosi, alla presenza di piante parassite.

Molte erano le associazioni che si occupavano di tecnica agraria, prima tra queste l’Accademia dei Georgofili, nata già nel 1753, molti i giornali, gli almanacchi, i trattati che parlavano di agronomia. Tali giornali riportavano spesso esperienze di nuove tecniche agricole e facevano riferimento a corrispondenti da vari paesi della Toscana.

Il Giornale Agrario Toscano aveva come corrispondente da Poggibonsi il dott. Giuseppe Marzi, uno dei proprietari di Poggibonsi più “illuminati” del tempo. In una corrispondenza del 1827 raccontò di come le “calasine” stavano divorando intere piantagioni di fave, ma anche i fiori degli alberi e perfino le erbe. L’invasione delle “calasine” era partita dal Senese, per diffondersi poi nel Chianti e nella zona di Colle; si erano fermate, per il momento, racconta il Marzi, ai confini di Poggibonsi, ma probabilmente presto avrebbero sconfinato portando danni alle colture. L’unica cosa che poteva fermare le calasine era, per il Marzi, la pioggia, che per fortuna nel maggio di quell’anno era stata abbondante. Ma anche la pioggia aveva, osserva il Marzi, il suo risvolto negativo, perché il proverbio diceva: “Maggio ortolano [cioè piovoso], assai paglia e poco grano”. Insomma, un’agricoltura piena di ostacoli e imprevisti. Interessante soprattutto la descrizione minuziosa che il Marzi fa della calasina e dei suoi comportamenti. Tutta da leggere. Il Marzi accenna anche a “enormi straripamenti” dei corsi d’acqua provenienti dal Chianti, dal Sangimignanese e dal Colligiano, quindi, presumibilmente, dei Carfini, dei Foci, dell’Elsa.

In foto: una “calasina”, un succiamele (orobanche maior) e la pagina del Giornale Agrario Toscano del maggio 1827 con la corrispondenza del Marzi.

Franco Burresi

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Pubblicato il 13 febbraio 2022

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