Poggibonsi e il Placito di Marturi: una pietra miliare per la storia del diritto

Sicuramente i Poggibonsesi che hanno studiato legge hanno avuto in qualche modo a che fare con il Placito di Marturi

 FRANCO BURRESI
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Forse non è conosciuto da tutti i Poggibonsesi, ma sicuramente i Poggibonsesi  che hanno studiato legge hanno avuto in qualche modo a che fare con il Placito di Marturi.

Nell’anno 1075 si svolse infatti nel monastero di Marturi (posto dove si trova adesso il  Castello di  Badia, costruito in stile neo-gotico dal proprietario Marcello Galli-Dunn sopra i resti, appunto, dell’antica Abbazia) un’assemblea giudiziale al fine di dirimere una controversia sorta tra i monaci e un tal Sigizo di Firenze, che aveva usurpato alcuni beni siti nel territorio di Papaiano, compresa la Chiesa di S.Andrea, donati a suo tempo al monastero dal marchese Ugo di Toscana e dei quali i monaci chiedevano da tempo, invano, la restituzione. Tali beni erano finiti in mano a terzi per colpa del successore di Ugo, il malvagio marchese Bonifacio. L’esito di tale assemblea fu il famoso “Placito di Marturi” (da placet= si autorizza). Tale documento fu di primaria importanza, tanto che viene citato oggi in ogni manuale di diritto, perché dopo secoli in cui le norme del diritto romano erano praticamente scomparse in seguito alle invasioni barbariche e ai successivi eventi storici, per la prima volta si fece appello di nuovo al Digesto, (da digerere=catalogare gli argomenti in modo ordinato), ossia la raccolta in 50 libri effettuata nell’anno 533 dall’imperatore Giustiniano delle opere dei vari giuristi romani.

Pochi anni dopo, nel 1088, nacque l’Università di Bologna, famosa per lo studio del diritto, dove il Digesto fu di nuovo letto e commentato e tornò ad essere un punto di riferimento. Ma il primo documento che attestò il rinnovato uso del Digesto fu proprio il Placito di Marturi, scritto nella nostra città, con il quale si annullò la prescrizione e si ordinò la restituzione ai monaci del beni, appellandosi ad una norma del giurista latino Ulpiano.

Questo il testo del Placito di Marturi tradotto dal latino:

“Nel nome di Cristo. Breve riassunto a vantaggio dei tempi futuri di come, alla presenza di Nordillo, messo di Beatrice, signora e marchesa, e di Giovanni visconte, nel corso di un giudizio con alcuni residenti, cui parteciparono il giurista Pepone e il giudice Guglielmo, unitamente a Rodolfo figlio di Signore, Rolando figlio di Rustico, Adilberto figlio di Baroncello, Stefano figlio di Petronio, Benzo figlio di Benzo e Signorotto figlio di Bonizio, ed alcuni altri, Giovanni, avvocato della chiesa e del monastero di San Michele sito nel castello (che è chiamato) di Martuli, insieme con Gerardo, preposto della stessa chiesa e del medesimo monastero, si scontrò ed ottenne sentenza favorevole ai danni di Sigizone da Firenze a proposito di alcune terre e della chiesa di Sant'Andrea, situate nel luogo di Papaiano che erano state cedute al monastero dal marchese Ugo, cui, a sua volta erano state cedute da Vuinizio, dandone prova attraverso una chartula. Contro questa tesi il citato Sigizone fece obiezione, opponendo l'intervenuta prescrizione e dicendo che su quelle terre per le quali era causa era stato esercitato un possesso che fra lui e suo padre ammontava a oltre quarant'anni. La difesa del cenobio, dopo aver replicato, confutò l'eccezione di Sigizone, sostenendo che nel periodo intercorso, durante la lite, i beni erano stati rivendicati. E prodotti tre testi adeguati, nelle persone di Giovanni avvocato della citata chiesa, Stefano figlio di Petronio e Adilberto figlio di Baroncello, tutti dissero che l'Abate Giovanni aveva rivendicato quelle terre al marchese Bonifacio e l'abate Guidrico al duca Gotofredo ed alla contessa Beatrice: e giurarono in tal senso. E, proprio in questo modo, l'avvocato Giovanni, con la mano sui vangeli fece giuramento; anche Stefano e Adilberto volevano giurare, ma entrambe le parti furono d'accordo che il giuramento del solo avvocato fosse sufficiente. Esposte le prove, il citato Nordillo, messo della signora Beatrice più volte nominata, considerata con attenzione la normativa contenuta nei libri dei Digesta, per la quale il pretore sanciva la restitutio in integrum a favore di quei soggetti che non avevano potuto far valere i loro diritti per mancanza di giudici, dispose la restitutio in integrum a favore del monastero di San Michele e della chiesa, concedendogli ogni diritto e l'azione che aveva perduto in ordine alle terre ed ai beni che furono di Vuinizo e che lo stesso marchese Ugo attribuì e conferì alla chiesa di San Michele.

Atto redatto nell'anno 1075 dall'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo, mese di marzo, quattordicesima indizione, nel borgo di Martuli, nel territorio fiorentino. Io Nordillo, in qualità di scrivente, confermo quanto detto”.



Franco Burresi


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Pubblicato il 2 luglio 2021

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