Poggibonsi e un aspirante poeta: Baldassarre Marini, di Poggibonsi, guardiano di ferrovia

''Mette poi in evidenza alcune delle varie attività e delle bellezze locali: la stamperia Coltellini e Bassi, il ''fabbricone'', lo splendore della Via Maestra, di cui Poggibonsi ''può andar superba senza oltranza'', la farmacia, la Collegiata''

 FRANCO BURRESI
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“Canto l’armi pietose e il Gran Guerriero
che liberò l’italico Giardino:
tant’operò col senno e col pensiero
tant’operò per gloria di Torino.
Invano a lui d’Abisso il Ministero
stette contro, e il Borbone e l’Aventino;
il Ciel gli die’ favore e San Maurizio
per porre li Tedeschi in precipizio…”

Così, parafrasando la “Gerusalemme Liberata” del Tasso, Baldassarre Marini inizia la sua “Italia Liberata”, celebrazione del Risorgimento italiano e in particolare della II guerra di Indipendenza, che si compone di 50 strofe in ottava rima, nelle quali la retorica trasuda da ogni strofa, da ogni verso e perfino da ogni parola.

E’ il 16 aprile 1860, la seconda guerra di Indipendenza si è conclusa l’anno prima vittoriosamente, una serie di plebisciti, in Toscana, a Modena, Parma e Romagna hanno evidenziato la volontà dei popoli di unirsi al Regno di Sardegna, sta per partire la spedizione dei Mille di Garibaldi. Marini conosce i suoi limiti, e nella prefazione invoca l’indulgenza dei lettori a “non riguardare i difetti di Grammatica e Retorica, che per non aver facoltà, non ha potuto dominare”. La perfezione, scrive, appartiene solo a Dio, ma si capisce che è nello stesso tempo fiero del suo lavoro e si aspetta la riconoscenza dei lettori.

Quattordici anni dopo, nel 1874, si cimenta di nuovo con la poesia. Questa volta l’occasione è data da un viaggio in ferrovia con moglie e figlioletto ed altri colleghi ferrovieri. Lui fa di lavoro il “guardiano” di ferrovia, sembra, alla Vista. L’opera si intitola appunto “Viaggio in ferrovia, Napoli, Roma, Firenze – Contemplazione vestita in terzine da un suo guardiano, Baldassarre Marini, di Poggibonsi” e si compone di 16 capitoli di endecasillabi a rima alternata di varia lunghezza. Il componimento è di difficile lettura per il lettore odierno, in quanto scritto in forma retorica e ridondante. E’ interessante però la conclusione del lavoro, perché riguarda da vicino Poggibonsi. Negli ultimi versi il Marini difende la sua città natale, Poggibonsi appunto, da  un articolista della Nazione che l’aveva dipinta come “terra grossa”, nel senso di un po’ rozza, poco emancipata. Il Marini trova modo di replicare evidenziando invece gli aspetti culturali di Poggibonsi:
“...Non è forse ripiena d’Istituti, Teatro, stanze e Giuoco di Pallone?” - scrive.

Mette poi in evidenza alcune delle varie attività e delle bellezze locali: la stamperia Coltellini e Bassi, il “fabbricone”, lo splendore della Via Maestra, di cui Poggibonsi “può andar superba senza oltranza”, la farmacia, la Collegiata. E riserva molti versi per descrivere la grandiosità di una fiera di beneficienza svoltasi nel settembre 1874, con grande concorso di merci e di pubblico:

“ Concorse ogni cultor co’suoi produtti
e fra i canneti di bottiglie e fiaschi
non mancavan salami né prosciutti,
li fazzoletti e scialli e li dommaschi,
spazzole astucci, canocchiali e zucche,
frustini ed Arlecchini bergamaschi.
Cacio di creta, marzolin di mucche…”.

Evidenzia poi la quantità di bettole e locande presenti in paese. Infine, un cenno anche per la Società Operaia, l’Asilo Infantile, la Biblioteca.
Dunque, conclude il Marini, tirando una frecciata al giornalista della Nazione:
- “Chi mangiò cavolo alla cieca? Chi a Poggibonsi die’ di terra grossa?”
E quando Poggibonsi avrà finalmente anche il suo ospedale, termina il nostro, potrà anche dire con fierezza:
 “Io son sortita di servaggio”.



Franco Burresi

Immagini: frontespizio del “Viaggio in ferrovia…” e prefazione dell’ ”Italia Liberata” di Baldassarre Marini.

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Pubblicato il 26 luglio 2021

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