Poggibonsi, il Primo maggio e la parola ''lavoro''

La prima volta che si celebra a Poggibonsi il 1 maggio è il 1891. Già da tempo sono presenti in città circoli anarchici e socialisti e i libri di Marx ed Engels si affiancano ormai nelle biblioteche popolari e di circolo a quelli di Mazzini o Pisacane

 FRANCO BURRESI
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Già sotto il governo Depretis sono iniziate però le repressioni e le persecuzioni di simpatizzanti del socialismo e dell’anarchia. Tali repressioni si fanno ancora  più dure verso la fine del secolo, in contemporanea dei moti per il caropane scoppiati spontaneamente in tutta Italia e che ebbero in Milano un loro tragico epilogo. Nella città lombarda la forza pubblica, sotto il comando del generale Bava Beccaris, si rese colpevole di un vero e proprio massacro ai danni di cittadini che protestavano contro una politica che non aveva saputo o voluto affrontare con tempestività il problema del prezzo del grano e quindi del pane, genere di prima necessità della massa popolare. Furono usati i cannoni contro la gente, addirittura fu bombardato un convento di cappuccini dove si credeva si fossero rifugiati alcuni dimostranti, mentre c’erano solo alcuni frati e diversi poveri in attesa della distribuzione della minestra. I morti furono almeno 80, anche se c’è chi giura che furono di più, che si aggiunsero agli altri 51 morti in varie parti d’Italia. Per questa “nobile impresa” il generale Beccaris ricevette dal re la croce di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare dei Savoia. Il fatto suscitò lo sdegno di gran parte dell’opinione pubblica e non solo di quella di parte socialista o anarchica, ma, come ci racconta nel suo diario il Del Zanna, anche del circolo interparrocchiale di Poggibonsi. Vi furono manifestazioni di protesta che videro poi la perquisizione di abitazioni, il sequestro di bandiere e dipinti, l’arresto in paese di circa 50 persone, tra  cui diverse donne e perfino alcuni ragazzi. L’anno dopo, sotto il governo Pelloux, la festa del I maggio fu  vietata del tutto. Il clima di pesante repressione continuò anche a cavallo di secolo e soprattutto dopo l’uccisione del re da parte dell’anarchico Gaetano Bresci, nel cui gesto molti vollero vedere una sorta di vendetta dei morti dei tumulti di Milano del ’98.

In questo clima di repressione e sospetto si inquadra un episodio accaduto nella nostra città, che ha del tragico, insieme, e del comico. E’ il gennaio del 1901, un gennaio freddissimo. Due socialisti, tali Landi e Milanesi, escono dalla bottega del barbiere fischiettando e intonando poi il coro della “Cavalleria Rusticana”, nel cui testo è presente la parola “lavoro”. Due carabinieri di servizio per strada sentono pronunciare tale parola  e, ignoranti di operistica, scambiano quel canto per l’Inno dei Lavoratori. I due malcapitati vengono così fermati, ammanettati, portati in catene alla stazione, caricati sul treno e rinchiusi nel carcere di Siena in attesa di processo. La cella è umida e fredda; fuori la temperatura è di -7°. Qui Landi e Milanesi restano per una settimana, dopodiché compaiono davanti al giudice, il quale, messo al corrente dagli imputati e dai carabinieri in qualità di testimoni del canto incriminato (le versioni di imputati e accusatori coincidono) li assolve per inesistenza di reato. I due carabinieri fanno quindi una brutta figura, ma i due poveretti si sono fatti comunque sette giorni di carcere duro per colpa dell’ignaro musicista Pietro Mascagni.

Per poter festeggiare di nuovo con un po’ di tranquillità il 1 maggio occorrerà aspettare ancora un po’, fino al governo Zanardelli.

(V. Burresi-Minghi: “Poggibonsi tra ‘800 e ‘900” - 2014)

Franco Burresi

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Pubblicato il 1 maggio 2021

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