Poggibonsi, la povertà, una 'giuocata di pallone' e due ragazzi acrobati

E' passato più di un secolo da allora e vediamo ancora file di poveri davanti alle mense della Caritas, mentre osserviamo contemporaneamente l'opera generosa di tanti volontari...

 FRANCO BURRESI
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La povertà ha sempre rappresentato un problema endemico per la nostra Poggibonsi, come per tantissime altre città e regioni d’Italia. Nel medioevo, con i movimenti pauperistici, assunse per certi versi anche un carattere di religiosa sacralità, tanto che l’elemosina ai poveri era considerata una normale prassi, quasi un dovere, per i ricchi mercanti o banchieri, che in tal modo potevano sistemare qualche conticino in sospeso con la propria coscienza e continuare  a curare insieme le loro attività creditizie, spesso sconfinanti nell’usura. Tali attività di beneficienza verso i poveri sono continuate nel tempo, fino ai giorni nostri, ma con l’ascesa al potere della borghesia la povertà è stata vista spesso anche sotto un altro aspetto, quella del pericolo, della “paura del povero”. La povertà ha cominciato ad essere infatti criminalizzata, quasi l’essere povero fosse una sorta di colpa o di peccato originale. E accanto alle attività filantropiche ecco allora apparire anche i bandi e le leggi contro gli accattoni, i girovaghi, i vagabondi senza lavoro, gli emarginati di ogni specie, che attentavano al buon costume e insieme al decoro delle città.

A Poggibonsi, come si deduce dai molti documenti archivistici, esistevano nel ‘500, ma anche nel ‘600 e nel ‘700, molte persone classificate come “povere” o “miserabili”. I parroci certificavano il loro stato di povertà, cosa che serviva ad evitare alcune tasse, come quella, odiosa,  sul macinato. Si arrivò nel ‘700 al paradosso che  un tale certificato veniva definito “privilegio di povertà”. Anche l’opera riformatrice di Pietro Leopoldo, come pure la modernizzazione dell’apparato statale introdotta da Napoleone, non portarono ad un miglioramento della situazione, se ancora nel 1808 a Poggibonsi, su una popolazione di 4072 abitanti, ben 921 persone, pari al 22,6%, venivano classificate come “indigenti, miserabili o imbecilli”. Quanto a quest’ultimo termine occorre considerare che la povertà spesso era in stretta relazione anche con la perdita della stabilità mentale.

La miseria albergava soprattutto nei centri abitati, tra i pigionali o lavoratori a giornata, ma anche tra gli artigiani minori, come i ciabattini, o tra i vetturini. E la povertà era spesso alla base delle numerose risse e dei ripetuti furti che riguardavano oggetti di ogni genere, perfino cose di nessun valore se viste con gli occhi di oggi. Gli accattoni o vagabondi forestieri venivano visti con particolare sospetto, mentre verso i miserabili locali, essendo conosciuti, l’atteggiamento da parte del potere costituito era più accondiscendente. Questi ultimi erano oggetto, in occasione di passaggi di sovrani, feste religiose, cerimonie importanti, insediamenti di autorità civili o religiose, di elargizioni di pane  e  a volte anche di denaro. Fu  così, ad esempio, che nel 1774 il proposto Frosini celebrò il suo insediamento nella propositura con un rinfresco a base di cioccolata, alimento, per quei tempi, ricercato e simbolo di benessere,  per i ricchi invitati e con distribuzione di “limosine di pane e denaro” per i poveri di Poggibonsi. E ancora, nel 1817, il possidente Vincenzo Brini, terminata la cerimonia del battesimo di suo figlio, si divertì a lanciare da una finestra trenta scudi di denaro ai poveri, da prendersi “a raffo”.

La piaga della povertà, ovviamente, rimase intatta, tanto che nell’800 erano infinite le richieste al Comune di defalchi di tasse o di “sussidi di latte” per nutrire i neonati di famiglie povere. Famiglie a volte numerose, tanto che in Toscana veniva concesso il “benefizio per il dodicesimo figlio”, poi, nel 1843, “per il ventesimo”, a patto che i figli fossero “della istessa madre e dello istesso padre”, morto o per malattia o in guerra “ma non ancora perché dedito al vizio”. La povertà dilagava anche in altre città, specie in occasione delle ricorrenti carestie. Anche a Firenze, come ci racconta un autorevole esponente dell’Accademia dei Georgofili, il quale osserva che “basta penetrare nei miserabili tuguri di certe strade remote” per trovare “sovente senza letto e senza coperte e talvolta ancora senza pane due o tre famiglie ammassate in una misera stanza”.

I poveri subivano questa situazione, che spesso consideravano alla stregua di una calamità, ma in alcuni di loro, più consapevoli o istruiti,  cominciò con il tempo a covare un certo anelito di emancipazione e la polizia iniziò a tenere  sotto stretto controllo, così,  i possibili agitatori sociali. Mancava  ancora una chiara coscienza di classe, ma con il progredire dei partiti operai si ebbero le prime forme di protesta, che trovarono il loro apice nei moti del ’98 per il pane. Intanto da parte delle classi dominanti per tutto il  sec. XIX si cercò di tenere a bada la piaga della povertà con molteplici istituzioni ed iniziative  di beneficienza.

Fu così che il 30 luglio del 1899, quando non si erano ancora spenti in varie parti d’Italia gli ultimi fuochi dell’anno precedente, a Poggibonsi si organizzò “una giuocata di pallone” a beneficio del Ricovero di Mendicità da istituire, per iniziativa di un apposito Comitato. Al termine di questa partita, due bambini, Giuseppe e Bruno Merlini, “dettero” - così si legge - “per la seconda volta, con molta soddisfazione del pubblico, spettacolo di ginnastica e di ammirevole bravura sul velocipede e tandem”. Al termine dell’esibizione i due vennero premiati con una medaglia d’argento dagli stessi membri del Comitato. Il giornale ci informa che i due ragazzi si erano esibiti anche in altre città ed avevano ricevuto a Bologna una medaglia d’oro in un concorso speciale a  premi.

E’ passato più di un secolo da allora e vediamo ancora file di poveri davanti alle mense della Caritas, mentre osserviamo contemporaneamente l’opera generosa di tanti volontari che tentano invano di riparare ad un problema che è più grande di loro. Al progresso tecnologico registrato negli ultimi decenni non si è accompagnato un uguale progresso sul piano dei diritti sociali, a quanto pare. Non abbiamo ancora sconfitto la povertà, purtroppo.

Franco Burresi



Nell’immagine: A. Pusterla: “Alle cucine economiche di Porta Nuova a Milano” olio su tela, 1887, Milano, Galleria d’Arte Moderna.

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Pubblicato il 8 gennaio 2023

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