Poggibonsi, un temporale e una celebre poesia di Giovanni Pascoli

E' l'agosto del 1892, quando Giovani Pascoli transita da Poggibonsi, diretto a Siena, in mezzo a un furioso temporale

 FRANCO BURRESI
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Non omnes arbusta iuvant humilesque Myricae” (Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici). Ispirandosi a questa citazione di Virgilio, Giovanni Pascoli titola “Myricae la sua prima raccolta di poesie, edita nel 1891. A questa edizione ne seguiranno varie altre, fino al 1911, perché la sensibilità del Pascoli per le umili cose, per la natura, lo accompagnerà per tutta la vita. Così dalle 22 poesie iniziali, la raccolta arriverà a contare 152 poesie. Ciò che contraddistingue le poesie delle “Myricae” rispetto ad altre raccolte dello stesso autore sono innanzi tutto i temi (la natura, la civiltà contadina, il tema del dolore, quello del nido familiare…) e poi la sperimentazione espressiva (poesie brevi, spesso fatte di strofe anticlassiche, di immagini simboliche, con uso frequente di onomatopee e allitterazioni, accostamento di suoni e colori, quasi una sorta di impressionismo poetico). Si tratta in genere di poesie a prima vista semplici, ma che nascondono dietro una complessità interiore, che solo chi non ha ucciso il “fanciullino” che è nel profondo di ognuno di noi riesce a percepire.

E’ l’agosto del 1892, quando Giovani Pascoli transita da Poggibonsi, diretto a Siena, in mezzo a un furioso temporale.  In una lettera alle sorelle scrive: “Da Poggibonsi a Siena gran temporale, nero, con tuoni e lampi e scrosci terribili di pioggia”. E in un quaderno di appunti conservato nell’archivio di Castelvecchio annota: “Mi è davanti un rosseggiare tetro come di vulcano. Come è nero sulla sinistra: tutto sparso a fiocchi bianchi. Una casa vi biancheggia come un cigno”.

E’ da questa visione e da questi appunti di viaggio  presi nella mostra terra  che nasce una delle sue poesie più famose, “Temporale”, che sdarà pubblicata nel 1894, nella III edizione delle “Myricae”:

Un bubbolìo lontano...

Rosseggia l’orizzonte,

come affocato, a mare:

nero di pece, a monte,

stracci di nubi chiare:

tra il nero un casolare:

un’ala di gabbiano.

La poesia si compone di una strofa iniziale di un solo verso settenario, che contiene una sensazione uditiva e di un’altra, di sei settenari, nella quale dominano le immagini visive, fatte di accostamenti cromatici. Una specie di quadretto impressionistico, al di là del quale si celano significati simbolici. Il rosso infuocato, il nero, che rappresentano le difficoltà, le tempeste della vita, il male presente e passato (l’uccisione del padre?) e insieme, però, quegli stracci di chiaro (i momenti di serenità che la vita ci offre?); e poi il casolare (un approdo, un rifugio, il nido familiare?) che il poeta accosta ad un’ala di gabbiano (la protezione dal male, la sicurezza che gli affetti familiari possono dare e possono consentire anche il volo?).

Il tutto concentrato in pochi versi, attraverso una costruzione sintattica fatta di frasi nominali (c’è un solo verbo), coordinate per asindeto, con un uso volutamente incalzante della punteggiatura, quasi a voler lasciare al lettore il compito di individuare i collegamenti tra i vari passaggi, al di là delle semplici intuizioni concesse dal poeta.

Una piccola poesia, ma insieme un capolavoro di sperimentazione poetica, nato, come tante opere letterarie, per caso, dalla visione di un temporale nella nostra terra di Poggibonsi in quell’agosto del 1892.



Franco Burresi

Nelle immagini: Strozzavolpe e Luco sotto un temporale; Giovanni Pascoli con le sorelle Ida, a sinistra nella foto, e Maria, a destra.

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Pubblicato il 9 ottobre 2021

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